lunedì 1 novembre 2010

La placida e acida influenza dei delfini


Sabato è stata giornata di bici con zii e cugini. Il tempo non era perfetto: una cappa di nuvole velava il cielo e impediva al sole di estendere il suo dominio, troppo blando e tiepido per rendere calda la mattinata. Ma male non si stava. Non abbiamo incontrato neanche un’auto nel lungo percorso stradale che costeggia il lungomare e segue la linea della costa da una parte e del mio paese dall’altra. Il mare dormiva, letteralmente. Sembrava un’enorme lastra d’alluminio che muoveva in lenti sospiri ricciolati sul bagnasciuga, ma cosi blandi, così stanchi da non generare neanche un fiocco di schiuma bianca: non saranno nate molte sirene dalle mie parti, sabato.
In compenso sono giunti fin nei pressi della riva un gruppo di delfini. Eravamo sulla piattaforma di un lido chiuso per l’inverno, ma accesibile, quindi sopraelevati rispetto al livello del mare. Inforcavamo ancora le bici quando la mia abituale contemplazione, con il sottofondo inedito dei risolini di mio cugino, è stata scossa da un’anomalia che rompeva l’oleosa superficie del mare. Li ha visti subito anche mio zio: erano in tre a un tiro di schioppo dalla riva, attirati probabilmente dalla calma inconsueta del mare e dall’assenza totale di barche e uomini a infestarlo. Molto più grandi di quanto non sembri nelle immagini, molto più neri del consueto grigio-azzurro che li designa, fendevano l’acqua con piccoli balzi regolari conquistando il mare ritmicamente, in distanze cadenzate. Sembravano rivestiti di vernice lucida, il dorso arcuato metteva in evidenza le pinne grandi e la coda forte. Doveva essere una famiglia perché il più piccolo, un cucciolo quasi, seguitava ad attardarsi vorticando in acqua e disegnando arabeschi che il mare, sonnacchioso, faceva fatica a sedare. Mio cugino era in visibilio, voleva gettarsi in acqua e raggiungerli, giura di averne addirittura sentito il verso quando uno dei grandi ha tolto il muso scuro, lucido, puntuto, sorridente, dall’acqua. L’ho sentito anche io, ma credo fosse lo stormire di un gabbiano amplificato da silenzio della spiaggia, anomalo silenzio sincopato, spogliato della risacca delle onde. Come si fa a non amarlo il mare quando dà alloggio a creature tanto gioiose, perfette, gentili? Come si fa a non desiderare di vivere con loro, là, nelle profondità fredde, nella bellezza perenne attutita dal caos esterno? Non l’ho confessato a mio cugino, ma ho sentito anche io la tentazione, forte, di raggiungerli, di essere uno di loro. E pensare che quegli stessi delfini possono rimanere incastrati in qualche rete, solo il pensiero mi inacidisce il sangue. Odio l’uomo. Odio me stessa perché appartengo alla razza umana. Chissà quante sedute ci vorranno perché la mia psicologa giunga a questa conclusione.

Amo invece i miei parenti romani che sì a volte scassano, ma sono persone meravigliose, senza pregiudizi troppo marcati o dal giudizio facile. Intelligenti, cordiali, buoni, felici, rispettosi, dignitosi. Amo mio zio e mi rammarico di non riuscire ad avere un rapporto più confidenziale con lui, di deluderlo con questa storia dell’università che non riesco a scrollarmi di dosso. Amo mia zia, giovanile più di me, che vive la sua vita borghese con la leggerezza di chi ammette anche altri generi di vita. Amo mio cugino, il secondogenito, perché ero abbastanza grande quando nacque per ricordarne l’infanzia e viverla anche perché ha trascorso con me molto tempo e anche se è un gigante di 14 anni oramai, per me sarà sempre il piccolo S, che mi dimostra quel tanto di affetto come nessuno sa farlo (ha detto mia zia che per convincersi a scendere con loro da Roma e rinunciare alla sua prima festa di Halloween del liceo, ha chiesto se io c’ero perché se c’ero sarebbe sceso. E’ una cosa così tenera per un adolescente e così rara per me che mi commuove). E amo anche il primogenito per quanto molto diverso da me, lui davvero borghese e conformista fino al midollo, con qualche pregiudizio di troppo, ma ci sono affezionata e mi fa morire dal ridere.
Fin da quando ero bambina vedo in loro la famiglia ideale anche se con problemi, anche se mio zio e mia zia ne hanno passate tanto e battibeccano spesso, ma si vogliono bene, vivono serenamente senza complicarsi la vita, si concedono ciò che vogliono senza pensieri e si vede.

Non posso dire lo stesso di mia sorella, che non è fuori luogo in un post in cui si parla di delfini visto che li adora e se li è anche tatuati. Non so se sono i suoi animali guida, ma certo non ne ahnno influenzato la personalità
Ero così felice che scendesse e il primo giorno non è andato malaccio ma abbiamo cominciato a litigare irrimediabilemnte dal secondo: è intrattabile, è nevrotica, è immotivatamente cattiva, acida, rancorosa con me, mi attacca sempre senza motivo. Ora stavo aspettando che lei partisse prima di uscire per stare con lei fino alla fine, per accompagnarla, per salutarla, mi sono anche offerta di accompaganrla fino a Lamezia col treno per prendere la coincidenza. Nonostante ciò è stata così cattiva nell’accusarmi di essere stata in bagno 5 minuti a lavarmi perché dovevo uscire e ancora sono al computer e non l’ho fatto. Mi spiace lasciarla così, chissà quando la rivedrò. Ma che posso farci se mi attacca non appena apro bocca? Se dà a me la colpa di qualsiasi cosa le succeda in questa casa? Mi sentirò anche in colpa per questo, ma non ho fatto niente come faccio a reggere anche questo rimorso di coscienza? Come faccio ad andare avanti così, inculcandomi questi sentimenti mefitici e opprimenti?

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