mercoledì 24 novembre 2010

Mi affaccio alla finestra e vedo un prìncipe di nitrato e una princesa al caramello


Ci sono sempre. Sono in una di quelle finestre che la mia mente spalanca quando sono costretta ad evadere dalla mia squallida realtà per poter sopravvivere. Mi nutro di queste finestre suggendo il loro nettare, fiori incantevoli e ultraterreni, come un bambino che succhia con la cannuccia il gusto d’infanzia spensierata e gustosa del latte al cioccolato.
Ma chi sono? Che c’entrano con me. Non hanno senso, non seguono il filo logico che le altre finestre condividono. Non hanno motivo di essere. Eppure sono. E non è che facciano poi sto granché. Si limitano a essere. Oggi sono stati più vividi che mai al punto da impedirmi qualsiasi altro pensiero costruttivo o non. Forse è dipeso da una conversazione che ho avuto ieri a proposito di famiglia, matrimoni e bambini. Ma di questo parlerò dopo, non stasera. Oggi voglio parlare di loro, solo di loro, batuffoli di caramello e nitrato.

Sono due i bambini nella finestra, la più radiosa e pulsante a un ritmo punk-rock apparentemente extradiegetico, ma solo apparentemente e te ne accorgi se lanci lo sguardo più in profondità, oltrepassando il quadretto bucolico che inizia la cornice.
Il cortile in cui i bambini risiedono è indeciso e non ha fantasia di dettaglio, il contesto è lasciato al caso che lo mutua da quello più vicino e meno faticoso, quello di casa mia, per poter concentrarsi ed esplodere nei particolari dei bambini.
Stessa altezza e probabilmente stessa età, stessa luce negli occhi, vivida e cosciente, abbacinante e attraente come un faro in mezzo al mare d’inchiostro. Stessi lineamenti minuti e morbidi, stesse fossette, stesso mento puntuto, identiche fossette ai lati delle labbra minute, di pesca, nasino a patata…ti fanno intuire una certa parentela, fratelli forse, gemelli quasi certamente: anche se l’amalgama di colori che li dipinge sono in antitesi, sembrano compenetrarsi, come provengano da opposti nati per fondersi, per essere due parti della stessa anima.

Il bambino è un capetto, ha l’aria del duro sotto il ciuffo birichino, un’acconciatura e un dinoccola mento simil-priesley, interludio al gioco oltre che manifesto di un destino marchiato nel sangue dai suoi geni e dal suo mondo. Tutto compreso in un atteggiamento da duro che riesce a reprimere a stento un’innata vivacità, mentre mima e rappresenta col più vivido fervore, qualcosa a un gruppo di individui sfumati insieme al resto del complesso, non importanti, accessori. Racconta della mamma e del papà e degli zii il capetto, per la centesima volta al centesimo gruppo di estranei, fiero dell’attenzione che la sua pantomima riesce sempre a catturare, nonché degli apprezzamenti in risolini e applausi che raccoglie. Principe della scena anche se solo marionetta in una rappresentazione di burattini; pendono tutti dalle sue labbra, però gli altri burattini. Gli occhi saettono ora socchiusi e ammiccanti, ora si intondano a simulare la sorpresa che ciò che sciorina velocemente dalle sue labbra e ripesca nella memoria gli produce ancora, affinché, riflettendoli nel suo sguardo, il suo pubblico intenerito e ridanciano possa ritrovare quella sorpresa che lui stesso provò nell’evento del racconto.
Qualsiasi sia l’aneddoto che racconta.
Visto gli apici di convulsioni raggiunti dalle manine frementi nel tenere in mano un’immaginaria chitarra, starà riportando la sua più recente storiella preferita, che da settimane rigira e infiocchetta come un pacco regalo non ancora perfetto, facendola lievitare ogni volta esponenzialmente. Trattasi del suo esordio sul palco durante il concerto degli G., la band rock dello zio. Con quale sicumera e concentrazione tenne il palco suonando la sua piccola chitarra senza farsi distrarre dal tripudio di luci, senza essere intimorito dalle urla dei fan, inguainato nel chiodo di pelle minuscolo ma per altro identico a quello dello zio. Era solo una calma apparente, tutta suo padre, lei sapeva che dentro stavo scoppiando. Per quanto abituato a quegli ambienti anomali per un bambino di quattro anni e mezzo, lei ha sentito il suo battito, ha percepito il suo cuoricino tamburellare frenetico, proprio lì, contro il suo petto, è sicura di poterne rintracciare il solco che ha lasciato e che sente ancora bruciare. Quando lui la abbracciò forte forte forte, dopo l’esibizione, occhietti affannosi e spauriti da scacciare via tra le braccia della mamma. Dio…quell’abbraccio così stretto, così contratto, la spaventò. Cosa poteva significare? Cosa c’era dietro quegli occhietti ghiaccio grigi che lei non era stata abbastanza abile da cogliere? Che avessero fatto male a consentirgli fare un passo del genere a quell’età nonostante lo desiderasse? Né lei, né il suo papà, si sanno dare una risposa, ma lei teme…teme che un anfratto oscuro possa essersi sedimentato nell’animo di Renèe e teme soprattutto che lei non riesca a scovarlo per frantumarlo prima che mossa attanagliargli l’anima.
Per ora però, per ora è il bimbo più felice della terra. E lei, la donna più felice e chi lo avrebbe detto? Lei felice con questi piccoli tesori tra le dita, con questi trionfi di dolcezza, vita e perfezione da accudire e coccolare. Quando li tenne in braccio la prima volta non era felice, non era intenerita, non era spaventata, era solo sicura, sicura che avrebbe dato la sua anima in pasto al diavolo per poter proteggere la serenità di quegli occhi, noccioline sgranate.  Loro deve essere il regno più bello, di sole e oceano, come il portogallo  nelle favole. Lui il suo prìncipe. Lei la sua princesa. E il rei…. Il suo bellissimo rei di cannella e dagli occhi di nitrato d’argento, che Renée ha ereditato con sfumature più chiare e glaciali. Il capelli di spaghetti d’ebano sono della mamma, come la pelle diafana e gli zigomi alti. Un batuffolo di stridenti contrasti fioriti insieme alla personalità inedita sia per mamma che per papà, vivace e baldanzosa, indipendente… Ma ci sono degli istanti in cui un’ombra gli cela lo sguardo, e lì diventa come lo zio, identico, dagli occhi tristi e lo sguardo tormentato. Solo i baci di vaniglia della mamma, i biscotti allo zenzero che gli odorano l’alito di vampe speziate per ore visti quanti è in grado di ingurgitarne, possono ristabilire l’ordine. Ma lei teme, teme che un residuo della sua maledizione possa essergli stato trasmesso…al suo prìncipe e forse più alla sua princesa.

Dolce come una cascata di marshmallow avvolti in fili di zucchero filato e intinti nel cioccolato fuso, la sua princesa… Riflessiva, silenziosa, a quattro anni già lettrice con gli occhi spalancati su mondi meravigliosi.
E’ lei. Si rivede in tutto: stesso modo di essere, stesso modo di pensare, stessi sogni a occhi aperti. Ma è molto più precoce, molto più intelligente, molto più in gamba e desiderosa di conoscere e vivere. Forse perché ha la mamma a stimolarla e il papà a proteggerla e gli zii a riempirla di tenerezza. Basteranno a tenere a bada il demone? Teme che con quegli occhi di nocciola che le ha passato, anche il destino della sua vita triste possa averle trasmesso, come una dannazione da cui è arduo esimersi, incisa nei riflessi oculari. La sua vita maledetta… quella di prima…prima di sbattere contro di loro, contro il suo re di nitrato d’argento e cannella, contro quei disperati come lei che l’hanno salvata….Se non avesse trovato, un giorno, per caso, un re alla cannella cosa sarebbe di lei? Se non avessi conosciuto i suoi amici-fratelli-sestessainaltricorpi, dove sarebbe? Non nel mondo dei vivi, non a vivere di certo…

La princesa è irrequieta oggi. Stringe le ginocchia sottili tra le braccia, apre e chiude il libro che le dorme in grembo, si dondola impercettibilmente.
Un sorrisetto attento e tirato increspa le labbra della mamma… lei lo sa perché freme. Vuole tornare a casa invece di star lì a perdere tempo aspettando che lo stupido tecnico apra lo stupido portone bloccato, vuole scoprire se ha funzionato, se le fate hanno mangiato il suo dolce e hanno lasciato dei messaggi di amicizia per lei. L’hanno scovata insieme. la ricetta del dolce che amano le fate, in un vecchio libro trovato dalla mamma per caso, durante un viaggio di lavoro: un librone rilegato, antico e polveroso, pieno di pagine arricciate e splendidi disegni di tutti i tipi di fate. E’ un’esperta la princesa,  di fate e delle loro storie, del loro mondo e dei loro poteri.
Tre mesi ci sono voluti alla mamma per rifinire quel piccolo capolavoro di cesello, mentre la notte la celava agli occhi dei bambini. Con che scrupolo ha raccolto vari tipi di fiori da inserire nell’albo, arricchendo di storie le splendide figure ricercate in volumi più affidabili, come quelle degli alberi fatati in cui queste risiedono. Gli occhi di miele e nocciola della piccola Charlotte non sapevano su cosa indugiare, o se era meglio correre a guardare leggere e sapere tutto…lo sta imparando a memoria! Le ha regalato un piccolo sogno, ed è bello potervi partecipare, visto che quelli notturni sono a lei esclusi. Lo ha fatto per questo: per poter essere parte dei suoi sogni, affinché niente della sua princesa le sfugga, mai. Ora vanno insieme alla ricerca dei fiori e degli alberi giusti, negli stessi campi che percorreva nella sua infanzia, ma con le dita della sua piccola Charlotte, affascinate e serrate strette attorno alle sue, i capelli di boccoli al miele che molleggiano cadenzati dal passo, il caramello della sua pelle ad aleggiare ovunque. Ha accettato la competenza della mamma in fatto di fate come qualcosa di scontato, dovuto, forse visto il suo mestiere che la tiene a contatto con i libri che tanto amano entrambe. E’ bello sapere che sua figlia la stima. La ripaga di tutto. E’ bello sapere che il suo prìncipe non chiude gli occhi senza che lei gli baci la fronte, che il suo re ha portato una busta di caramelle al lampone con sé, in viaggio, per poter assaporare il gusto delle sue labbra.

E’ stato bello anche cucinare insieme ai due batuffoli laboriosi e ingolositi, il dolce per le fate. Un piccolo capolavoro di sua invenzione quello, ne è uscito fuori una strana forma di torta, bella quanto il profumo che spande è goloso, che il  popolo amerebbe senz’altro. Di certo lo ameranno il re e i suo luogotenenti quando ci raggiungeranno finalmente per l’estate! Tanto quanto Renèe di certo, piccato di non poterlo assaggiare perché Charlotte ha deciso che è solo per le sue future amiche alate quel piccolo capolavoro di gusto e colori: cioccolato, sfoglia, crema di nocciole, waffel, marmellata e c’è anche burro di noccioline! Tutto orchestrato ad arte, la consistenza dei sogni è quella, per Renèe e Charlotte. E per la mamma,è il poter godere dei volti estasiati del suo prìncipe di nitrato e della sua princesa al caramello.

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