venerdì 26 novembre 2010

E io gelo


Sono infinitamente tediata e annoiata. Non riesco neanche a trovare un film interessante da guardare e dire che ho passato una giornata a fare niente… E’ veramente pericolosa la strada che sta imboccando la mia già di per sé inutile esistenza.

Passata l’ultima vana e fine a se stessa ossessione sui vari gusti di kit kat che quantomeno hanno tenuto occupata la mia testa e questo parla da solo, invero perché il che la dice abbastanza lunga su cosa ci sia al momento nella mia testa, ovverossia il vuoto, considerato che può essere colmato con un tale nonnulla, comunque….
Passata l’ossessione è rimasto il niente che, al contrario della sua natura che dovrebbe essere assolutamente neutrale e invisibile, pesa che non si può concepire neanche, impedisce ogni concentrazione possibile e porta con sé il grande gelo. Che non è solo, in questo caso, qualcosa di metafisico e intangibile, è sensibile eccome. Se al nord nevica qui piove, una pioggia “bagnata” che pare filtrare qualsiasi cosa e lascia una patina di umidiccio traslucido su tutto.
E io gelo.
Non so se gli spifferi che filtrano gioiosi dai balconi o la bassa concentrazione di zuccheri nel mio sangue ne sia la causa, fatto sta che muoio letteralmente dal freddo. I piedi si congelano e restano addormentati e inservibili per ore, le labbra diventano viola le unghie blu, il che non è del tutto un male perché ho esaurito lo smalto blu elettrico e in assenza di altro, visto che mia sorella si è portata via ogni cosa nel “grande esilio” per Roma, mi viene concesso questa colorazione naturale anche se un tantinuccio cadaverica. Che s’intona perfettamente con la mia carnagione pallida, anzi addolciamo la pillola, diciamo nivea, e soprattutto con le labbra viola, un tocco di classe quelle.
L’unico modo per trovare conforto è riempirmi di felpe e maglioni e stare sotto pail e piumini. Ma la posizione semifetale che assumo nel letto non favorisce certo lo studio, direi piuttosto dà via libera alla mia fantasia e alle sue finestre. A cui non è che in realtà servisse propriamente un’ulteriore spinta eh… Ma questo è.

Ergo: sono nella merda. Se qualche anima pia dovesse chiedersi il perché leggendo codesto coso che sto scrivendo, la ragione è sempre la stessa: ansia che blocca la respirazione e impedisce di studiare, ho troppo da studiare per riuscire a farcela il 15 giorni, ma devo sennò ho come unica alternativa, la soluzione finale: tagliarmi le vene. Questo il sunto delle mie elucubrazioni novembrine. Niente di speciale.

C’è di buono l’odore di camino che aleggia nell’aria e di inverno ormai fermo e netto. Nuvole di cielo che sprizzano ricami nebbiosi come baci di farfalle dall’alito gelido e dalle ali di cristallo, vedo questo nella sfera-quartiere che il mio balcone incornicia. Questo e l’incidente all’incrocio qui accanto che ha, stamane, per l’ennesima volta, fatto danni. Un giorno ci moriremo. E’ troppo pericoloso. Staranno bene i due vecchini coinvolti? Lo spero. L’ape in cui viaggiavano era una carcassa stillante benzina. Il resto solo sirene di ambulanze e pompieri, e i soliti curiosi fermi, giunti da tutti i palazzi e da tutte le macchine, scesi da tutti gli anfratti circostanti. Pare che quando succede qualcosa del genere, il ritrovo rionale sia d’obbligo, con frasi di circostanza annesse. Forse è solo che in questo paese dimenticato da Dio e dagli uomini non succede mai niente, o forse la gente è macabra e il disastro e la morte l’attira. Questo spiegherebbe atteggiamenti come quelli delle persone che partivano in pullman per andare a vedere la casa della povera ragazza assassinata. Lo capisci benissimo, lo vedi nei loro sguardi oltre il vetro: non resisteranno, andranno a unirsi al coro. E infatti uno a uno li vedo passare alla spicciolata. Chi con stampato sul volto la sua espressione da tragedia, chi compunto, chi col dito accusatore ritto, chi flemmatico, quasi indifferente, a dare l’impressione che lì, lui, per caso ci capitò. E certo non si esimerà dal dire la sia.

La ruota dell’ape gira ancora mentre partono le ambulanze. Le serene dei vigili del fuoco danno fosche luminescenze, da telefilm, agli alberi umidi e al grigio stagnante, nella sfera-quartiere dal paesaggio alterato. Sbocciano fiori arcobaleno e metallici non appena la benzina si spande sull’asfalto bagnato, in ondate di odore di nafta. Mi fa venire la nausea. Tutti loro mi fanno venire la nausea.
Rientro, accendo l’hi-fi. “Rock the Casbah”, parte e i ruggiti confortevoli di Joe riempiono la stanza allontanando tutto il resto, tutta la sfera-quartiere dalla mia vita

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