lunedì 31 gennaio 2011

100° post

Un annuncio speciale lo merita questo post, il 100° pubblicato su questo blog.
Sono oramai più di tre mesi che Pink Rock & Raspberry Punk esiste. Mi sembra un'eternità e non avrei mai detto di riuscire a scrivere così a lungo, costantemente.
L'impostazione è diversa dall'idea di partenza, ma solo leggermente. Volevo che fosse lo specchio della me di carne e di sconvolgimenti, intendevo scrivervi ogni giorno anche due righe riversando ogni dettaglio della mia sciatta vita, persino quelli stupidi e inutili. E sono riuscita a soddisfare i propositi anche se l'aspetto della quotidianeità è andato perso per cause di forza maggiore come impossibilità di stare al pc, studio, intolleranza allo scrivere. Nonostante questo credo di essere riuscita nell'intento, anche se sto ancora provando e sperimentando ilmodo più giusto per parlare di me. Non è facile come sembra.
Il turbine che ho dentro è difficile da espletare in parole, per questo preferisco trasformarlo spesso in racconto per usufruire degli eventi e presenterli dal mio punto di vista seguendo il mio stile, infiorandolo di commenti e tocchi di sarcasmo che mi sono congeniali. La mia visione del mondo attraverso la cronaca della mia vita. E attraverso le canzoni che sono la colonna sonora delle mie giornate, i video che guardo e mi colpiscono, le immagini che raccolgono un mio aspetto o un messaggio da urlare al mondo, le notizie che fanno perno:  non erano previsti all'origine, ma sono indispensabili per completarmi, per definire al meglio quell'immagine mia e della mia vita nello specchio che voglio qui riprodurre a menadito.

In realtà della mia vita non c'è molto da dire. Soprattutto in questo periodo faccio poco e sono assessionata dai soliti demoni che spesso ritornano su queste pagine ridondandone un po' la voce.
Ma questa sono.
Questo penso.
Questo mi succede.
In questo modo mi tormento ogni giorno.
E se un blog del genere ha un'utilità, che prescinde sia dall'informazione, sia dalla cultura, sia dall'intrattenimento, è quella di aiutarmi a gestire i miei demoni, di organizzare il girotondo di parole e pensieri che formulo ogni giorno, di arginare la mia solitudine e la mia tristezza tramite l'unico palliativo terapeutico che posso usare: la scrittura.
Altrimenti non avrebbe senso la sua esistenza. Sarebbe solo una perdita di tempo. Perchè non legge nessuno questo blog, se non un paio di persone. Non erano previste e non so se ci sono ancora, ma approfitto del 100° post per citarle, perchè sapere che voi perdete minuti preziosi della vostra vita per fare un tuffo nella mia, è molto più di quanto qualcuno abbia mai fatto per me. Sapere che le mie parole e i miei pensieri, i miei sogni e i miei tormenti, non si perdono solo nel vento, tra un garrito di gabbiano e uno sbuffo fumoso di nuvola, ma che vengono volutamente letti da qualcuno anche se sono solo due persone, anche se è solo una persona, mi fa sentire meno sola, meno inutile, meno niente, meno triste.
Grazie.

Dedicato a chi "non è solo bella, ma ha anche cervello, dopotutto è laureata e tutto!”

E mentre fuori imperversa l’uragano Katrina mi accingo a narrare il secondo risvolto dello splendido pranzo in famiglia dell’1 Gennaio. Quando la meteorologia aiuta…
Dopo essere stata ben benino rosolata come una dolce porchetta da ingerire in un solo gustoso boccone (vedi Capodanno con inchiesta - prima parte e Capodanno con inchiesta - seconda parte), mia cugina ha pensato di mettere la ciliegina sulla torta tediandomi un pochetto con le sue avventure pro-pri-o e-cci-ta-nti. Ma per apprezzare al meglio l’aneddoto in ogni sua sordida cesellatura, è necessario un piccolo ragguaglio sulla cugina in questione. Piccolissimo, lungi da me dilungarmi sulla cosa.

Mia cugina coetanea, il fior fiore della buona progenie del paese dei miei, tende ad essere una perfetta osservatrice dei dogmi socio-cristiani, rivestendo senza alcuna sbavatura, il cliché della perfetta donnina borghesuccia. Il contrario di me, del tutto.
E’ in perenne confronto con me e ovviamente succhia il nettare divino dei miei fallimenti come fosse linfa vitale ogni volta che questo può far sì che GLI ALTRI riescano a discernere come i suoi traguardi siano ben piantiti lì, sul gradino più alto del podio. Sì, perché per lei è fondamentale essere sempre al centro dell’attenzione, tende a dissanguarsi affinché la gente la noti, la guardi, la elogi, la ritenga perfetta. Come dicevo, il mio contrario. Mentre io fin da bambina cerco di attirare meno possibile l’attenzione, di vivere tranquilla i fatti miei nel buio del controcampo, lei si bea di tutti i riflettori stinti che la vita di paese può offrirle, vive sotto la loro luce divina.  Pertanto, è la madrina e l’organizzatrice di ogni attività del paese, quella che legge in chiesa, che guida la processione, che canta…. oh quanto è fiera quando fa la solista in chiesa… e non perde mai l’occasione, ogni sacrosanta volta che la vedo di ragguagliarmi sul numero di persone che le hanno ricordato quanto è brava, quanto sta bene vestita così, quanto è migliore degli altri in quelle cose che fa, quanti maschi la vogliono, quanto è bella, quanto è tutto. Non ho ancora capito bene se lo fa più per insicurezza che per vanagloria, o se ci gode proprio e davvero tanto a essere considerata il must in ogni settore. Ultimamente poi, a 27 anni, da brava lobotomizzata in zucca, è in crisi perché non ha un uomo da portare all’altare: vuole dannatamente sposarsi e punta ogni maschio papabile per portarlo a “giuste nozze”. Trovo vomitevole concepire il matrimonio prima di essere follemente innamorati di qualcuno. Un materialismo, una funzionalità che esclude ogni rapporto, ogni beltà, è trucida l’amore in ogni sua forma: quel che conta è sposarsi. Punto.

Come ci siamo sedute a tavola per il pranzo, ho capito che qualcosa bolliva in pentola perché la ragazza scalpitava dalla voglia di riferirmi qualche buona nuova: pare che a una festa di paese abbia “sedotto” un VIP, niente poco di meno! Trattasi in realtà di un citrullo della televisione e della radio calabrese, piuttosto conosciuto da questi paesucoli da piazza perché invitato a presentare eventi locali qua e là.
Io non lo avevo mai neanche sentito nominare.
Insomma, tizio ha presenziato a una rappresentazione canora organizzata dalla Proloco del paese per le feste natalizie e mia cugina ha trovato modo di beneficiare del lucore ribalta, leggendo il solito, prevedibile elenco di sponsor della manifestazione. E’ in questa occasione che il tizio le sciorina un po’ di frasi fatte e lei casca come una bacucca ai suoi piedi.
Il punto è che sono tanto palesemente stupide le suddette frasi, dei classici del burinismo, che io le consideravo solo pane da telefilm di terza categoria, non credevo potessero funzionare sul serio e annichilire una ragazza dotata di lobo frontale semi-sviluppato! E con quale orgoglio lei mi ripeteva codeste frasi: “Mi ha detto che lui ha sempre conosciuto e frequentato ragazze belle, ma che io non solo sono bella, ma ho anche cervello, dopotutto sono laureata e tutto!”. Noooo! Cioè...be’ anche io sarei caduta ai suoi piedi dopo un’uscita così, che cavolo vuoi di più dalla vita di uno che ti guarda dentro e vede davvero “che non sei solo bella, ma hai anche cervello, dopotutto sei laureata e tutto”?!
Al che hanno organizzato il malfatto: vedersi a capodanno nella stessa discoteca dove è andato mio fratello e dove pare c’era mezzo mio paese e mezzo paese di mia cugina (w gli originali!), poi dirigersi nella villa del VIP e fornicare allegramente.
Interessante è come lui ha gestito la cosa. Interessante soprattutto per chi, come me, non ha mai avuto la fortuna di vedere un VIP all’opera dal vivo.
 Prima l’ha riempita di complimenti patetici:”Che bel corpetto hai, che belle autoreggente…” – “insomma tutta bella sono!” le rispose lei, felice come una pasqua (terminologia esatta, riporto ciò che la cugina mi narrò con sue parole sputate). “Intinto il biscottino” le dice quindi che deve scappare, che ha inderogabili impegni, che non può stare lì con lei “e ora come faccio come faccio come faccio”. Fa che la riporta alla discoteca, la molla e se ne va.
Il tutto ha generato in me uno senso di squallore indicibile con conati di vomito a ripetizione e quant’altro. Non in lei. La mia cuginetta mi confessa, al contrario, di essere seriamente interessata a cotale signore, che gli piace molto questo essere verminoso e vuoto come il ventre del salvadanaio di un poverello (per dovere di cronaca preciso: “questo essere verminoso e vuoto come il ventre del salvadanaio di un poverello” è una mia aggiunta, non confermata dalle persone interessate ai fatti), ma che lui gli ha fatto capire senza possibilità di repliche, che la loro era storia da una botta e via. Dannazione. Poteva divenere mio cugino. Il che avrebbe ben ben nutrito la folta schiera dei miei parenti, di una gemma di raro prestigio cafonistico. Ci sarebbe stato da divertirsi, I suppose.
Peccato. Sarà per la prossima volta.

Il tutto si commenta da solo.
C’è di buono che dopo gli attacchi sulla mia mancata laurea subiti in quella stessa giornata, questo lerciume sotto forma di trionfo, mi ha ringalluzzita un po’, facendomi, per una volta, sentire ben fiera di non essere una di quelle che“non è solo bella, ma ha anche cervello, dopotutto è laureata e tutto!”.

Capodanno con inchiesta - seconda parte

...panza piena, anzi no ma fa niente. Continuo...

Mi aspettavo la domanda fatidica, quindi nessuna sorpresa. Ciò che è strano è che la fatidica domanda sia arrivata dalla fonte meno probabile: la moglie del fratello di mia zia. Ora, mi chiedo, legittimamente anche, com’è possibile che codesta signora che io conosco appena di vista, che non ha alcun legame di parentela o altro con me, né alcun contatto con me e la mia famiglia se non sporadico e rapido, sia 1) a conoscenza della facoltà che frequento; 2) a conoscenza del fatto che devo ancora laurearmi; 3) a conoscenza del mio percorso universitario; 4) interessata alle mie prossime mosse a riguardo. E’ chiaro che era stata messa al corrente della questione e fosse ben interessata a conoscerne i risvolti. A darmi la certezza di ciò è il parterre di gesti non verbali che hanno accompagnato l’exploit. Vorrei poter essere una descrittrice così brava da illustrare a parole, gli ammiccamenti che ha usato nel pormi la domanda, la tensione con cui l’ha fatta, lo sguardo tremulo che ha imbastito, l’interesse avido nei suoi occhi, il silenzio che ha generato tra mia zia e mia cugina che subito hanno puntato fameliche di dettagli lo sguardo su di me, di come al mio fissare gli occhi nei suoi, la moglie del fratello ecc… abbia abbassato lo sguardo imbarazzata e alla mia risposta abbia cincischiato mezze frasette, di come quando mi ha chiesto se voglio fare la giornalista e io ho riposto che non credo di esserne in grado, tutte loro abbiano taciuto abbassando il capo in segno di assenso e soddisfazione.
Senza lasciarsi scappare l’occasione, quasi con timore di perderla visto che già il discorso verteva verso altro, è intervenuta la zia con una puntualità ambigua, quasi fosse una mossa prevista che aspettava il momento di venire a galla. E’ venuta a galla infine (non che la trattenessero chissà quali massi frangionde e…) e mi ha informato che: “ANCHE il figlio di un loro amico vuole fare lo SCRITTORE e il GIORNALISTA, è bravissimo si è laureato, ma non a una scuola di giornalismo eh…all’università! Lui. E che è in Cina perché ha vinto master, è così bravo LUI che ha vinto un master in Cina, pensa”.
So perché l’ha detto. L’ultima volta che ci siamo viste l’avevo messa a tacere con un’uscita sugli scrittori che non ricordo bene, e lei non aveva saputo cosa ribattere e ora se l’è bella bella preparata la nuova botta per svalutarmi. Fresca fresca. Che poi mai io le abbia detto che ho velleità di scrittrice, cosa che ho invece accennato alla figlia che l’ha subito raccontato a mammina, ovviamente, è un altro discorso.
Ho fatto la brava stavolta, sapevo cosa rispondere, ma sono rimasta nei miei panni di “brava figliola un po’ scema e sfaticata che non riesce a laurearsi” , ho solo cercato di capire quanto fosse decisa a umiliarmi ribattendo di proposito che devi avere i soldi per andare in Cina a fare il master e lei ha risposto subitaneamente:” No, no lui ha ottenuto una borsa di studio in parte, perché è bravo” e le ho detto che le università milanesi sono più orientate al giornalismo rispetto alla mia facoltà e lei “NO, NO è la tua stessa identica facoltà e lui si è laureato in tempo”. Ho dei dubbi che sia la mia “stessa identica facoltà”….comunque ho ottenuto quello che volevo sapere e ora spero di non dovermi sottoporre a questo pubblico linciaggio per molto. Molto, molto tempo.

Capodanno con inchiesta - prima parte


Non avevo proprio voglia di andare al pranzo tra parenti dell’1 gennaio a cui mi hanno trascinata, ma ho declinato l’offerta tante di quelle volte che non potevo proprio mancare stavolta. Anche perché poi chi la sente mia zia, ogni volta che la incontro anche per sbaglio, mi ricorda il mio peccato mortale di non andare al paese a trovarla. Certo ora sono propensa a credere che lo faccia con una malcerta sfumatura di affetto. Ma solo una sfumatura, e solo malcerta.
E’ la zia più invadente e portata al pettegolezzo, si è sempre sentita in obbligo di mettere il naso in ogni questione, giudicare giudicare giudicare ogni più piccolo, microscopico mio comportamento. Non per niente è un’accanita chiesofila… credo questo basti a inquadrare il genere-tipo di riferimento.
E di certo, diciamocelo, non gli ho fatto mancare materiale stuzzicante in questi anni, pane quotidiano per i suoi cincischiamenti sotterranei, per le chiacchiere, per i giudizi pretenziosi, per le critiche valutative. E lei so per certo che ne ha approfittato leccandosi i baffi, coadiuvata e sostenuta dalla creme della creme del parentame, dalla figlia di cui però parlerò in seguito.
C’è che questa mia zia negli ultimi anni ha dovuto combattere con una brutta malattia (e di questo mi dispiace sinceramente e spero davvero davvero davvero con tutta l’anima che guarisca) che ancora la tormenta, dalla quale teme di non guarire e questo ha smussato il suo carattere e l’ha resa meno cattiva. Perché prima lo era, oh sì, lo era davvero. Ora non credo sia cattiva, ma resta comunque sempre colei che ti fa notare quanto sei merda, quanto sbagli e quanto invece dovresti essere perfetta come loro. Quanto il loro sia il solo modo di agire ed essere comprovato e santificato con bolla papale. Il che denota una limitazione della mentalità assurda. Ma stiamo parlando del paese dei miei, lì esiste SOLO questa di mentalità.

E non ha mancato neanche questa volta di ricordare a tutti noi questa incontrovertibile verità.
Al pranzo c’era anche la famiglia di suo fratello e tutto si è svolto seguendo apparentemente almeno, il più perfetto cerimoniale che prevede l’aperitivo, il pasto, il brindisi, i racconti, le battute, le conseguenti risate dovute anche se le battute fanno cagare, i complimenti alle varie cuoche, le indicazioni sulle ricette e sugli aneddoti di famiglia che le accompagna, il panettone, i dolci, … Insomma, solita roba.
E io, da brava ragazzotta di provincia, mi sono perfettamente calata nella parte. Ho cioè, fatto la brava. Ho riso alle battute, ho imbastito un’espressione compiaciuta, ho ascoltato deliziata gli aneddoti con un sorrisetto ben ben stampato sulle labbra al punto che temo la paralisi facciale oramai…
Ad un certo punto, ecco che arriva l’attesa, fatidica, domanda rivolta alla sottoscritta: “Quanto ti manca? Quando ti laurei?”. Eheheeh…l’aspettavamo tutti era nell’aria.
Personalmente l’attendevo già da una settimana quando arrivò l’invito a pranzo. Sarò una sibilla sotto mentite spoglie? Magari…è che, molto più semplicemente, questa gente, come se non bastasse il resto, è anche abbastanza prevedibile, soprattutto per quanto riguarda la loro morbosa curiosità nei confronti di me e dei miei fallimenti. D’altronde gli servono dettagli succosi da poter utilizzare nei prossimi randez vu e siccome a differenza di altre loro prede, la sottoscritta concede così poche occasioni loro per fare incetta di notizie, meglio approfittarne, ora che la fessa si è messa alla berlina. 

...Un po' di suspence, vado a magnà, continuo poi....

Like Tamara Drewe

Non è che desidero proprio essere come lei, proprio proprio come lei. Insomma, in fin dei conti è una fottuta puttanella e neanche tanto sveglia mi pare. Ma.

Ma diciamo che il mio alter ego riuscito e sognato rispecchia molte delle sue caratteristiche. Giornalista affermata prima dei 30 anni con una sua rubrica, e già in procinto di pubblicare il suo primo romanzo, intervistatrice di rocker, indipendente, senza vincoli morali, vive la libertà che si merita. Insomma, me garba.
Claro che così non è e nn sarò, ma me lo sono goduto questo film. Non che sia sto gran capolavoro, ma è decisamente molto meglio di quello che ho visto di recente e ha un'ottima sceneggiatura. E il contesto poi, mi è da sempre congeniale: black comedy, umorismo all'inglese, verdi e immacolate distese del Dorset, paesino bucolico, ritrovo di scrittori in crisi... Roba che qui non c'è, a parte la bucolicità insita in ogni dove, ecco, quella c'è. Manca il resto. Mi mancano le competenze di Tamara.
E sorattutto, manco io.

A caccia di un'indole

E' partita.
Mia sorella, or ora, ha ripreso per l'ennesima volta il treno per la capitale. E chissà quando la rivedrò, skype escluso.
Certo andare d'accordo con lei non è facile col caratterino che si ritrova, ma mi mancherà lo stesso. Io non mancherò a lei questo è chiaro e assodato. Ma d'altronde perchè dovrei mancarle? Sconveniente pretesa la mia e di certo non meritata, visto che nelle vesti di sorella non sono un granchè. A volte ho la presunzione di credere che il problema, per una volta, non sono io. Ma la realtà è che, per quanto lei sia borderline e praticamente un'epilettica comportamentale, in questo come in altri casi, non so calarmi in un ruolo e gli altri non hanno niente da condividere con me. Neanche come sorella.

Insomma è tornata alla sua vita che sarà caotica, sacrificata, piena di casini in questo momento, ma che è pur sempre una vita. E gliela invidio. Le invidio soprattutto la capacità che ha di credere nelle sue capaità, la fiducia, la profonda convinzione che lei ce la farà a realizzarsi e a realizzare esattamente quello che vuole.
Cosa che mi manca. Per questo ho ormai abbandonato le velleità di scrittrice e giornalista?
Per questo non sono ancora stata in grado di portare a termine nessuno dei passaggi richiesti per raggiungere quest'obiettivo?
No. Più semplicemente perchè non sono in grado e questa inconscia sentenza mi depenna dalle fatiche del tentare. Al contrario, probabilmente, mia sorella come tanti che conoscono e che riescono, sanno di potercela fare, sanno di essere in grado. E che altro serve se non questo per impegnarsi e provare e realizzare la propria indole?

Assodato che non sarò giornalista, nè editrice, nè scrittrice, quale è, ora, la mia cazzo di indole?

Ramones rule

domenica 30 gennaio 2011

Voglia di urlare


 Se ora cacciassi fuori l'urlo più dirompente mai udito, 
tale da frantumere tutte le superfici e gli oggetti di vestro di questo stupido paese, 
se io urlassi fino a sdoganarmi lamandibola e a frantumarmi le corde vocali, 
fino a svuotare di ogni atomo d'ossigeno i miei polmoni; 
se gridassi fino a farmi esplodere i timpani, 
se anche articolassi le più sacrileghe parole, 
le più scempie bestemmie che mondo e storia abbiano mai udito, 
nessuno mi sentirebbe.
L'urlo si frantumerebbe sulle pareti della campana di spesso acciaio in cui sono incapsulata 
e mi si ritorcerebbe contro in lamine mortifere. 
E nessuno lo saprebbe.
Proviamo?

Ho deciso...

...di non telefonare alla psicolaga per ora e quindi di non riprendere con le sedute. Perchè?
Non ne ho una cazzo di voglia.
E perchè credo di aver trovato, rovistando tra i ricordi del mio torbido trascorso, nelle mie giornate silenziose e solitarie (non è che abbia molto altro da fare a dire il vero), il bandolo della matassa, e non mi va di affrontarlo. Non riesco.
Non saprei neanche come parlarne, che frasi elaborare per definirlo. Come si può plasmare in parole il più oscuro e fumoso buco che ammorba il mio subconscio?
Be' io non so.
So che dovrei andarci, so che mi servirebbe, ma non ce la faccio...

Ho paura.
E non ho nessuno a cui dire che ho paura.

Ho sognato...

... di essere sulla cima di una rupe terrosa con qualcuno, una signora anziana, in possesso di Verità Assolute. Nero e fioco arancio erano i colori del cielo, sullo sfondo di un paesaggio biblico. Mi aspettavo le nuvole squarciarsi da un momento all'altro e Dio fuoriuscirvi puntandomi un dito contro con una mano, senza desistere per questo, dal consegnare a qualcuno tavole di leggi con l'altra mano.

La Verità Assoluta non venne però dal cielo in veste di Verbo divino, stavolta. Venne invece in veste di pezzo di carta lurido, incastratosi sotto la suola di uno dei miei anfibi.
L'anziana saggia mi ragguagliò sulla cosa: pare che il pezzo di carta (forse igienica chissà) in questione, scegliesse il suo prescelto attaccandoglisi alle suole delle scarpe. Il fatto che si fosse appiccicato alle mie - profetizzò estatica la vecchia eterea - era segno indiscutibile del mio destino e della mia missione.
"Prova" - disse - "Sbatti il piede in terra. Capirai". E io fessa, lo sbattei. Che altro potevo fare?

La rupe si dimostrò non essere altro che una colonna di terra precaria, scarso Sinai adeguato alla mia scarsa persona, che al comando del mio piede prescelto aprì una voragine e mi fece ruzzolare fino in terra, dove un gatto blu mezzo suino mezzo carapace, mi starnutì di seguirlo nel tunnel del vento...

...nella scena successiva ero tremebonda al cospetto della mia laurea (quindi sì, non ho dubbi che si trattava di un sogno), assolutamente impreparata e con un lavoro scarso in mano, ad ascoltare quanto incompetente e inaeguato al livello raggiunto dal mio corso, il mio lavoro fosse.

Che il tunnel del vento conducesse alla scena amena? Mai lo sapremo...

Ho visto...

.... una bottiglia di vetro nuda e tenace.
Come marchio, solo un nastro bianco a infiocchettarle il collo.
L'ho vista tuffarsi in liquidi cobalto e magnesio,
trastullarsi ondeggiando in simil pendolo
e trovare il suo equilibrio.

Lei.

L'ho vista incastonarsi semisommersa,
un gioiello rilucente,
sul dorso increspato e intonso del Grande Animale.
Che coraggio!

Lei.

L'ho vista rimpicciolire
cullata dal respiro lento e ritmico della Bestia,
alzarsi e abbassarsi,
amalgamarsi all'essere,
smettere di essere
pur essendo per essere qualcosa di più,
di molto. 
Poi, ha veleggiato verso isole remote,
rabbrividendo libera.

Lei.
E io?
Qua.

Lontana, ha occhieggiato un saluto di luce per me.

E visto che con gli uomini non me ne va una giusta...

Colonna sonora del mio funerale

I'm so sorry

"Quando hai detto a San Pietro di mettere la pietra" - "Eh sì, lì ho fatto una cazzata"

Ma-si scemo...

sabato 15 gennaio 2011

Parlo alle mura e quelle non rispondono più

E' sabato sera, ho studiato e ora non ho un cazzo da fare,

                                                i libri mi ustionano le mani,
le mie fantasticherie rifuggono lontano,
                                      anche la musica mi perfora i timpani...

nessuno nessuno nessuno con cui parlare
nessuno nessuno con cui bere una birra
nessuno

Capodanno a due strati

Direi di fare un passo indietro, però, e tornare alla fine dell’anno per raccontare il mio Capodanno perché… be’ ne vale la pena.

Carico di ansia e d’attesa, il 31 dicembre ha sempre un odore, un sapore, una consistenza speciali che si tocca con mano, nell’aria, fin dal mattino e che va via via acuendosi con la scesa delle tenebre. Immagino sia la manifestazione delle adrenaliniche attese di ognuno a insaporire l’etere e foggiarlo di drappi e merletti ariosi. Non potrebbe essere altrimenti, dopotutto, se in una giornata normale, la stragrande maggioranza delle persone sospira annoiati ed esausti pensieri, a capodanno l’apparato respiratorio della stessa stragrande maggioranza di persone, respira a un ritmo più elevato espirando attesa e adrenalina: i bambini perché gli adulti sono eccitato e subodorano la festa; i ragazzini per i botti da sparare; giovani di ogni sesso ed età per la possibilità di tarantolare le chiappe e di sbrillarsi un po’; il vecchino che assapora la speranza di vivere una giornata diversa; il goloso che sogna il lauto banchetto; la cuoca che si affanna nella preparazione del lauto banchetto; la perfetta padrona di casa che vuole che tutto vada alla perfezione; gli invitati che si fanno belli; la tipa che si prepare dall’alba per essere super figa; la donna che non vede l’ora di sfoggiare il completino intimo rosso nuovo nuovo; l’uomo che non vede l’ora di montarla; chi conta i minuti che lo distanziano da una festa o un concerto; il proprietario di pub/ristorante/discoteca che si lecca le mani al pensiero dei soldi che incasserà… Insomma più che a Natale molte più persone sperano di divertirsi a fine anno.

E poi…
E poi ci sono un pugno di nefandi esseri informi, che compiono l’indefinibile peccato di disinteressarsi del Capodanno. Esseri demoniaci rinchiusi nei loro bozzoli di nerume e lerciume, che non puoi avvicinare perché emettono raggi di negatività che se ti colpiscono…guai diventi come loro: sfigato!
Trattasi in realtà di persone sole che raramente non hanno vero interesse per il Capodanno, solo non sanno come e con chi festeggiarlo adeguatamente quindi si rinchiudono in se stessi per non eliminare se stessi dal mondo.
Io sono una di quelli.
Era preparata alla tregenda di sensazioni tristi e malinconiche, se non di disperazione che avrebbero dovuto attanagliarmi come ogni Capodanno. In realtà non è stato poi così tremendo: la tregenda non è esplosa del tutto. Si è manifestata solo tardivamente, in seconda serata con un groppo alla gola che non andava né giù né su, occhi leggermente brucianti e il desiderio incontrastato di essere stretta tra le braccia di qualcuno mentre fuori imperversa la festa.
Per il resto della serata ho lanciato strali contro raiuno e i suoi “Coglioni Canterini”, ho leggiucchiato, ascoltato i Guns’n roses e mi sono goduta il lauto banchetto che mamma ha preparato: non lo elenco, ma gli agnolotti all’aragosta sono una bontà tale da meritarsi una citazione!
Poi mio fratello è uscito con i suoi amici, mia madre è uscita con le sue amiche, mia sorella se la spassava a Roma con amici e amiche.
E io a casa, più sola della solitudine.
Il senso di nausea era troppo incipiente per farmi scordare tutto mangiando ancora. Ho cercato di stordire con lo spumante i cattivi pensieri, ma quelli tornavano a galla sotto forma di ricordi di quelle poche volte in cui uscii la notte di Capodanno a festeggiare con le mie ex-pseudo-amiche e si trasformavano nell’ipotesi di cosa stessero loro facendo e quanto si stessero divertendo con i loro nuovi amici. Qualche lacrimuccia stemperata dalla salvifica scrittura, arcigna e cinica quella notte scrissi a raffica e poi, a letto. C’è di buono che lo spumante aveva stordito non i ricordi, ma me e mi abbioccai quasi immediatamente.

Ma il Capodanno non perdona. Infligge ferite troppo profonde che, attutite dalla morfina dello spumante, riprendono a sanguinare il giorno dopo e si rimargineranno con fatica e sofferenza.
Due giorni dopo erano infatti ben lungi dal cicatrizzarsi (del mio primo Gennaio 2011, parlerò nei prossimi giorni) e le sentivo pulsare mentre passeggiavo per i viali del mio paese.
Senza rendermene conto stavo percorrendo quel reticolo di strade in cui sono situati pub e discoteche e locali che so essere stati i più gettonati questo Capodanno. Lo so perché l’ho letto sui vari resoconti di facebook e perché mio fratello e alcuni miei cugini vi hanno partecipato.
E che fossero state strade protagoniste solo qualche ora prima, di certo si vedeva dallo stato in cui aiuole, marciapiedi e asfalto versavano: c’erano lattine e bottiglie di spumante, birra, whisky , rum, jack daniels, ovunque mi voltassi, accostate ai muri, rovesciate sui marciapiedi, frantumate in strada, in bilico sui muretti, infilate in buchi o aste di ferro; centinaia erano i bicchieri di carta ce n’erano addirittura in fasci interi ancora incartati nelle confezioni da supermarket, ma la maggior parte erano quelli trasparenti con cannuccia nera, tipici da cocktail; piattini di plastica con forchette lasciavano intuire il passaggio fugace di dolci al cioccolato e panna se non erro; qualche scarpa e ho contato anche tre sciarpe; ho evitato invece di contare i getti di vomito in ogni dove, perfettamente riconoscibili a distanza; e ho individuato una confezione di siringhe, non so quanto inerenti a quella sera ma nuova e il contenuto, ancora incartato, era sparso per terra, ne avranno usata solo qualcuna.
Comunque tutto questo me lo aspettavo, magari non le siringhe…
Quello che non mi aspettavo era di imbattermi in questo delirio di residuo di goliardia e festa nella strada isolata, neanche un cane è passato (era anche la domenica dopo l’1 gennaio, quindi, comprensibile…). Pertanto io ero lì, sola, a dover fare i conti col bel Capodanno altrui e col mio schifosissimo. E poi non mi aspettavo le bustone del Mac Donald’s con contenitori di bibite, panini e patatine disseminati ovunque. Mio fratello mi aveva detto che il Mac sarebbe rimasto aperto tutta la notte, ma non immaginavo avrebbe fatto tali affari, invece pare che la gente uscita dai locali si sia fiondata lì per dolci o hamburger, d’altronde si trova proprio lì dietro.

Allora, ho fatto una cosa. Non mi congratulo con me stessa di questo, certo. In realtà credo che sia una cosa un po’ malata.

Sono andata a comprarmi un milkshake al cappuccino al Mac Donald’s e l’ho bevuto accovacciata su un balcone di cemento di una casa in costruzione vicino al rimasuglio di quello che sembrava un vero festino. C’era una confezione di piatti di plastica aperta e usata a metà e i piatti usati, alcuni con resti di torte, croissant, patatine e ketchup e maionese, erano posti in circolo, erano 8 quindi si presuppone che la compagnia fosse di almeno una decina di membri, certo non puliti perché avevano lasciato tutto lì. C’era la busta del Mac Donald’s al centro e involucri di panini, patatine, bibite, gelati a iosa. C’erano due bottiglie di spumante, e una di whisky, ma discosta, poggiata al muro della casa. Una lauta cenetta notturna non c’è che dire…

Ho centellinato il mio milkshake, lasciando penzolare le gambe dal semi-balcone, immaginando la scena della compagnia di ragazzi riunita a mangiare e bere e ridere e scherzare. E’ stato come se la visualizzassi sul serio, se il gusto zuccheroso del milkshake, fosse lo stesso sapore sorbito da loro, lo stesso sapore di una notte indimenticabile che mai ho avuto e mai avrò. Mi sono dimenticata dov’ero e chi ero, sono diventata parte di quel gruppo, in quella notte con stelle artificiali, dalla musica confusa e attutita proveniente dalla discoteca sotterranea e l’umido della risacca marina a giungere fino a noi. Ho partecipato ai discorsi, ho riso delle battute, ho battuto le mani per …qualcosa. Ho scambiato il mio Big Mac con un Cheeseburger, ho mischiato Coca cola e spumante, ho mangiato gelato al ketchup.

Poi ho finito il milkshake, con l’ultimo granello di zucchero s’è sciolta anche la magia, e sono tornata io, sola, su un semi-balcone freddo, pieno di spazzatura, in una strada deserta, nel primo pomeriggio del 2 gennaio 2011.

Ho lasciato il bicchierone del milkshake lì, con l’altra roba, accostato alla bottiglia di spumante, sopra un cartoccio di panino. Come se fossi stata davvero lì quella notte. Così, per finta, una parte di me c’era davvero! Chi ha visto la scena, ha notato il bicchiere del milkshake come parte del tutto, non pezzo isolato, postumo, estraneo, fuori luogo.
Sono tornata a vedere il giorno dopo e quello dopo ancora, per qualche giorno è rimasto tutto lì, intatto.
E io ho potuto per un po’, godermi l’illusione di avere degli amici e di aver avuto il mio Capodanno speciale.

Befane profetiche


6 gennaio 2011.
Migliaia di più o meno bambini, sono accartocciati nei loro letti-divani-poltroncine-seggioline-pavimenti-gabinetti (eh…anche gabinetti, mica posso escluderlo…) a rimpinzarsi del contenuto della calza che la Befana, durante la notte, ha elargito loro con minore o maggiore abbondanza.
Io mi ritrovo acciambellata sul letto a cercare di concentrare la mente abbastanza da farmi decifrare quegli strani simboli incisi su carta che si chiamano lettere e permettermi quindi di leggere qualcosa, nella penombra della mia stanza, illuminata solo dal neon della lampada sopra il comodino e dalla luce lunare che elargisce il mio pc sulla scrivania, dove stagliata apparentemente mastodontica, di delinea la sagoma di mio fratello come sempre intento a succhiare dalle vivifiche mammelle del mio portatile.
Quando, improvvisamente e inavvertitamente, la nostra eroina alza lo sguardo sonnacchioso verso il soffitto e vede ricambiarla un’ombra ghignate quanto mai realistica, perfetta, corporea e azzeccata vista la giornata: una parola, Befana. Il profilo è estremamente preciso e ricco di dettagli appassionanti: naso adunco, mento sfuggente, verruca, ghigno, pezzuola a legare i capelli. Non senza un certo timore mi rendo quindi conto, che la Befana ha perso la sua ombra nella mia stanza, geriatrica Peter Pan, e questa si è fossilizzata tra pupazzi e peluche posti nei mobili più alti della mia stanza che, per uno strano gioco di coincidenza tra la disposizione di questi e la luce della lampada, danno forma proprio al profilo dell’amata vecchina.
Sbalorditivo è che me ne sia accorta proprio il 6 gennaio! Coincidenza che mi ha fatto accapponare abbastanza la pelle insieme allo sguardo di una vecchia strega che mi fissa da soffitto.
Non ho perso tempo, of course, e sono andata a ricercare un qualche messaggio simbolico che il profilo dovrebbe veicolare: epifania quindi fine…fine di qualcosa? Presagio nefasto di morte? O inizio di qualcos’altro? Arrivo di tre re magi con doni? O di una scopa volante e del manuale per diventare strega? Ah…quello è in realtà la mia ombra io sono nell’animo una vecchia strega! Non che mi spiacerebbe ma vorrei avere una scopa almeno…visto che mi devo sorbire bruttezza e vecchiaia precoce.

In realtà la soluzione più plausibile sembra essere quella di mio fratello: “sei destinata a essere una befana per tutta la vita”.
Touchè, ombra sul muro, touchè.

Fumo tra dita


Fumo tra dita
Che se la svigna, svicolando dal pugno serrato
in arabeschi fiatati,
anelli di scheletro umano,
d’ectoplasma macabro nastro.
Dai suoi strali trapassano raggi nebbiosi
e condense di fiato bluastre di morte
intrecciano nodi funerei,
precari,
fiocco di un dono svanito nel sogno.

Dono non dovuto, dono non spolpato
tra tutti i doni il più immotivato.

E’ non vita quella vita trattenuta da un pellegrino dell’oceano indiano
fermo al porto sconosciuto e scosceso
col bicchiere sozzo 
che stringe in una mano.
Nell’altra vi è il fumo
Tiepido
Levigato
Trasparente
Della vita impenitente
Trattenuta a stento, ascoltata di rado
Sconosciuta al pellegrino dell’oceano indiano.

Stringe il fumo il pellegrino, piano prima forte poi
Corteggia un pensiero
annusa una domanda fiorita per caso:
“Cos’è che s’attarda, un granulo grigio o un fior di damasco dal guscio spezzato? Qui a un palmo                dal naso un odore speziato”
Or lo sente,
forte prima piano poi,
pizzicare miraggi e deliri,
annaspare in visioni perplesse,
intrecciare dipinti di bruma.
Esalati in miasmi con dita
e suonati in sospiri di fuoco,
i bisbigli profondi
illustrano torri di fari remoti,
celando con luce,
a fatica,
il nero del cuore che pulsa segreto:
dietro la bruma di velo fumoso,
il bozzolo vibra un’idea accennata e la inchioda dietro le sbarre nebbiose,
mai compiuta
per l’eternità.
Eppur viva
Eppur non viva
Per caso o non per caso caduta nel palmo
della mano del pellegrino
prestato dal mare.

Chi la mandò lì
Vita sfiatata
Tra le forti nocche di un navigante solitario,
figlio d’Arcano e d’Acume?

Superfluo è il sapere.
E’ solo fumo
Il fumo non è vita.
Trattenere fumo è vano.
Mani forti sono nate per stringere funi e lanciare comandi
Serrare la vita di donne espirate su scampoli erbosi,
Danzanti nel turbine
nell’universo senziente.

Il pellegrino ignaro,
stringe il suo fumo.
Gli solletica il palmo e si avvolge al suo polso
in spire bramanti contatto,
catena di niente:
facile il frantumo,
Arduo il controllo.

Vorrà contenerlo?
Tenerlo con se nei pascoli bui, allattati dal mare.
O inavvertitamente deciderà di sgravarsi del peso del fumo
E scioglierà il bracciale
di giada leggiadra,
sottile filaccia annientata
in quattro e quattr’otto
da Vero e Scirocco?

Stride la nave un richiamo d’amore.
Sopra garrisce nel vento il rumore
Sotto il gabbiano nero s’accuccia
E guarda venire con passo proteso
- fiero di sale e anima pregna-
Lo sconosciuto del porto scosceso.


Enfad Rinakiro

Cose da fare nell'immediato futuro


1) Devo telefonare la psicologa. L’ ultimo appuntamento risale, oramai, agli inizi di dicembre. Mi aveva detto di chiamarla dopo gli esami, ma dopo gli esami ci sono state le feste e ora…ora non ho voglia di chiamarla. Senza contare che tra un po’ ci saranno nuovamente gli esami e devo rimettermi con furia a studiare.
Non ho voglia di sostenere altre sedute né di perdere tempo lì. In più l’ultima volta si era creata un’empasse che, se adesso riprendessimo… insomma non saprei tutt’ora come superarla. Per farla breve (molto breve), parlando dei miei blocchi e fallimenti universitari era fuoriuscita dalla conversazione, la mia autoproclamata “sentenza” di ragazza fallimentare e universitariamente inadeguata. E la doctor risolse la questione indicando il germe di questo fallimento o di questa sensazione di fallimento, in una PRESUNTA situazione, esperienza negativa vissuta da me nel passato, probabilmente nella prima adolescenza o nell’infanzia, inerente a questo ambito, quindi ambito scolastico, che mi abbia bloccata in qualche modo o insinuato questa convinzione poi col tempo radicatasi.
Il punto è che io l’ho cercata e non la trovo, la situazione. Non c’è.
Quindi, molto obbligata doctor, ma nel mio caso non credo proprio che risalga a un evento il senso di fallimento: fallisco, ergo c’è fallimento; c’è fallimento, ergo sono una stupida inadeguata cazzona fallimentare.
Non riesco proprio a chiamarla. So che ne avrei bisogno. Anche se finora non è che ne abbia racimolato molti vantaggi da queste sedute, ma col tempo potrebbero servirmi e io devo per forza fare qualcosa, non so per quanto tempo posso continuare a combattere demoni e non perdere.
Non ho ancora deciso se telefonarle o meno, se continuare o meno…non lo so non lo so non lo so…

2)Devo muovermi e riprendere a studiare. Febbraio è alle porte e Filosofia della mente è lungo e difficile. In realtà non è che proprio non ne abbia voglia, ma stavo aspettando di ricomporre bene i pezzi della me stessa frantumata, prima. Ma dovrò accorciare i tempi. Inoltre il famoso libro misteriosamente scomparso dalla biblioteca che mi serve per l’esame non ce l’ho ancora quindi prima di tutto andare a Cosenza per vedere se c’è, e preghiamo Dio, Buddha, Visnù e tutti gli dei precolombiani affinché questo venga trovato, sbuchi fuori e possa consultarlo sennò sono fo-ttu-ta.

3)Quindi appunto andare a Cosenza e già che ci sono, compilare e stampare quel cavolo di modello con tutti i dati. Veramente il programma prevedeva che uscissi oggi, andassi all’internet point locale, lo compilassi e lo stampassi, ma l’idea di inserire i miei dati nel computer pubblico del mio paese considerando poi che il proprietario dell’internet point è un troglodita maniaco, non mi sconfiffera del tutto. Vedrò di farlo a Cosenza.

4)Andare alla USL di C. per prendere un appuntamento con un medico specialista che rimando da mesi. Il punto è che per codesto paese ci sono solo due autobus: uno alle 7.30 per andare; l’altro alle 13.30 per tornare. Una mattinata persa. Maledetta Calabria.

5)Trovare il coraggio di andare dalla dietologa dopo i kili che sicuramente avrò preso a Natale, chi ce l’ha il coraggio di salire sulla bilancia?

6)Al solito: studiarestudiarestudiarestudiarestudiare….are are are are.

Pensieri merdosi di una merda infida

Ho sempre fermamente creduto che la mia morte non causerebbe troppa sciagura e disperazione. Sì i miei se ne rattristerebbero e mia madre ne soffrirebbe molto perché sono, dopotutto, sua figlia. Ma ecco, solo per questo.
IO, DAFNE NON MANCHEREI DAVVERO A QUALCUNO. Ok, forse a un paio di persone sì, all’inizio, ma non sarebbe una mancanza trascendentale, della serie: “non mangio, non dormo, non sogno, non vivo più, la mia unica certezza è smarrita per sempre e ora latito senza la forza di fare altro che aspettare, piangendo e invocandola urlante, il giorno in cui forse, mi ricongiungerò a lei”. Perché non sono importante per nessuno, fondamentale per nessuno. Se esisto o no il mondo non cambia e chissene. Il punto è che non cambia nemmeno la vita di un componente, mollusco, crostaceo, oviparo o mammifero della galassia.

Il che è assodato.
Mi è capitato però, ultimamente, di prestare i miei neuroni alla realizzazione di un pensiero affine ma opposto: cosa succederebbe in caso contrario? Io condivido un affetto, un rapporto tale che la mancanza di qualcuno, per quanto mi rattristerebbe e sconvolgerebbe per carità senza dubbio, inciderebbe sulla mia non vita? Per esempio: mia madre c’è e la amo, e impazzirei dal dolore per la sua perdita che spero non avvenga prima del 2100 o prima di me, ma considerato che il nostro rapporto non è così pregnante e simbiotico, che a malapena mi caga e a volte neanche mi risponde, cambierebbe davvero molto da un punto di vista pratico se lei non ci fosse?
E soprattutto, quanto l’aver formulato questo pensiero mi rende la merda più infida e merdosa dell’universo?

Fa pensare…

Colonna sonora delle feste











giovedì 13 gennaio 2011

...e rinasco più bella (e implume) che mai


Risucchiata dal vortice delle feste, ho latitato per questa prima porzione di anno con la mente annebbiata. E’ arrivato ora il momento di riprendere le redini del comando su l’altra me e gestire i ribelli pensieri maligni che maledicono la mia esistenza.
Non facile.
Ero prigioniera dell’altra, ostaggio di ingordigia e baccanali peccaminosi, spersa tra i fluidi ammalianti delle festose coccarde che hanno liquefatto ogni mia forza di volontà, ogni tentativo di strenua resistenza.
Sto faticosamente cercando di ritrovare me stessa, ma tutto ciò che sono riuscita a racimolare è uno smunto e pallido riflesso di una me stanca, che arranca verso non sa più bene cosa e forse mai lo ha saputo.
Credo di aver capito perché rispetto agli altri miei coetanei io sono indietro, io resto sempre un passo o più sotto. Perché il mio percorso prevede ogni volta una lotta con me stessa che agli altri è, probabilmente, quasi sicuramente mi permetto di osservare, risparmiata. Io perdo tempo a ricostruirmi, dopo ogni sconfitta (e sono tante le sconfitte), dopo ogni scalfittura, pezzo per pezzo per pezzo, cercandolo nell’oblio che mi circonda e con mano tremante rimettendolo al proprio posto, mosaico dissestato, rigenerando l’asse di un equilibrio precario su cui arrancare ancora un po’, prima di sbriciolarmi nuovamente in migliaia di pezzi.
E questo richiede tempo. E io ne ho bisogno. Ma gli altri non capiscono. Nessuno può capire.

Ho veramente passato giorni e notti da incubo, sola sola sola dannatamente sola, tormentata da vicino dai miei demoni più caparbi. Stavo impazzendo e non riuscivo a trovare una via di fuga. L’unica che mi si è presentata, unica e scontata sempre lì valida e presente, è la solita mattinata sulla spiaggia semideserta. E un inverno che non c’è, africano e solo in parte veleggiato da un infido vento freddo, me lo ha concesso. In realtà anche ieri pomeriggio ho fatto una rapida sortita, ma il sole cala presto, la notte ombreggia il mare prima che i monti e ho solo rimediato un mal di testa per l’umidità e un vorace appetito stimolato dall’odore del mare.

Stamattina invece ci ho passato cinque ore nette nette.
E’ il mio mare, ritiratosi dopo giorni di mare grosso, dalla spiaggia disseminata di fiumiciattoli oblunghi, rami e tronchi, bottiglie e carte di dolci nonché rimasugli di botti di Capodanno. Devono aver festeggiato in spiaggia…beati loro. Me la immagino la mia spiaggia, deserta e percorsa solo da agenti atmosferici e qualche pennuto, ricca di baldoria e fuochi d’artificio, di baci, di coppie che si rincorrono, di falò che lambiscono il buio, di risa e tuoni artificiali. Posso solo gustarla nella mia immaginazione… così bella anche allora, così diversa…

E’ come un dipinto mai sbiadito, lo stesso mare che ho lasciato in autunno, stesso paesaggio con ogni elemento incastonato al punto giusto affinché ognuno di essi, in successione accurata, come i  tasti di pianoforte premuti in esatta sequenza, scateni, suggerisca la stessa melodia di sensazioni. Non sono pescatori ottuagenari che solcano con lo sguardo stanco l’azzurro alterno delle loro stagioni, sono i miei ricordi che si attorcigliano alle loro reti, che scalano le loro canne come pesci fantasma e mi richiamano come sirene; non è il solito sub che audace esplora abissi in ogni stagione seguito pigramente dalla sua boa stinta, ma il mistero del mare che mi sommerge ad ogni sortita sulla costa; non la risacca che amplifica il suo sciabordare e lo ripete all’infinito al punto da farmi desiderare di aver portato con me l’mp3 per non doverlo ascoltare ancora e ancora e ancora, ma l’eco delle storie che si sono affacciate alla mia mente durante le passeggiate; non la bambina che svicola dal controllo materno e si dirige speranzosa verso le onde, ma i miei desideri che ridono musicali e fugaci; non la sabbia dorata, ma un deserto d’argento che restituisce i miei passi alla moria notturna della’alta marea; non i gabbiani in volo stridente e compatto, ma la mia solitudine accentuata dal loro vivere in simbiosi; non il mare ballerino e turchese, ma la malinconia di sempre; non lamine di luce che sfarfallano accecando la vista e impreziosendo il golfo dove il sole sbatte allo zenit, ma la speranza e la forza che metto in ogni passo, per superare il deserto di dune, per vedere se dietro una di queste c’è finalmente la terra promessa, assetata, affaticata, assonnata e stordita da un sole di Calabria troppo dorato, troppo alto, troppo caldo e troppo bello per essere un sole d’inverno, a illuminare una spiaggia ora deserta in ogni sua rientranza, tranne che per la mia inutile e trascurabilissima presenza.

Affondo, sfondo, sprofondo...


Come abbondantemente e brillantemente (blog mio, giudizi discutibili e amorali miei) illustrato nel precedente post, il Natale perfettamente orchestrato per fagocitare ogni tipologia di essere nella cultura occidentale, ha risucchiato anche me. Niente religiume o buoni propositi. Molto altro, soprattutto l’altro che stinge il risvolto della medaglia del Natale.
Famiglie e amici riuniti incentivano enormemente il senso d’abbandono e di disperazione, di inadeguatezza e fallimento. Non solo mio, tant’è vero che il picco di suicidi raggiunge il massimo grado in concomitanza con le festività di fine anno: di fronte alla gente che si diverte più o meno scioccamente, di fronte alle manifestazioni di amore e affetto più o meno vere, chi è solo tutto l’anno è più solo durante le feste. Una cassa di risonanza luccicante e vociante glielo ricorda ogni attimo. Il che unito al resoconto dell’anno trascorso mai meraviglioso per gente come me, getta il povero malcapitato nella disperazione più sconfinata, nella sconfitta più incorreggibile.

Il mio modo di affrontare il tutto è lasciarmi andare all’afflizione, non combatterla a denti stretti come faccio o tento di fare durante tutto l’anno, ma lasciare che lei abbia successo. Abbandonarmi ai pensieri più macabri e ai resoconti più infruttuosi, paragonare lo squallore mefitico della mia esistenza con lo splendore d’abbondanza di quella di miei coetanei, evidenziare i contorni desolati delle mie periferie. Il tutto non senza un cinico, macabro piacere masochista.
Dopodiché, fottermene.

Se combattessi con questi pensieri, le feste non sarebbero diverse dal resto dell’anno, vivrei anche queste in una sorta di filo di rasoio estenuante e il senso di fallimento e la solitudine, davvero diverrebbero insostenibili. Ma neanche porre loro alcun freno è auspicabile, perché finirei come il poverino che si è suicidato dagli scogli di P.G. verso i flutti gelidi e tumultuosi dello Ionio, la vigilia di Natale (e pensare che io e i miei cugini eravamo stati su quello stesso scoglio a ridere degli schizzi di schiuma che ci raggiungevano, giusto qualche ora prima…il pensiero che forse, forse avremmo potuto, non so in quale modo, ma in qualche modo, aiutarlo, mi tormenta…).
Quindi opto per una via di mezzo: allento il lazzo dei pensieri malefici e li lascio imperversare per un po’, rosicchiare i bordi della mia mentre e infuriare nel mio stomaco, sconvolgere il ritmo del mio cuore, e poi li blandisco stordendoli di melense favole disney, cioccolatini tutti i gusti + 1, panettoni, pignolate, frittelle, zeppole, dolcetti, croccanti alle mandorle, pandori, pistacchi, nocciole, noccioline, torroncini,torroni, biscotti allo zenzero, al miele, cenoni e pranzoni, un sacco di coca cola per annichilirli e uno spruzzo di spumante e bayles e birra qua e là per rimbambirle e assopirli ben benino. Bulimia che si riappropria di me senza mezzi termini e con mal di stomaco da star male, perenne senso di nausea e necessità di vomitare che trattengo perché più sofferenza mi causa, più compenso il piacere della cioccolata; più sofferenza mi causa più i pensieri si pascono beati e non mi tormentano troppo; più sofferenza mi causa più compenso il mio essere una stolta, inutile, perfetta fallimentare ragazza.
Per un po’ almeno, il vuoto s’è chetato, il buco è stato riempito. Ora le feste vanno via e cosa si lasceranno dietro solo il tempo me lo dirà. Sapevo, conoscevo le conseguenze disastrose cui sarei andata incontro dopo l’Epifania. Ma non me ne importava o, meglio, le visualizzavo con una certa infima malagrazia, cinicamente beffarda: “mi farai male lo so, ma intanto smetto di pensare che sono niente per un po’, smetto di sentirmi feccia perché il panettone ottura le orecchie e non sento i miei pensieri, perché la cioccolata delizia e ammansisce il vortice di nero oblio che mi compone”.
Il punto è che ora il buco è reso più grande dal senso di colpa per aver vanificato mesi di dieta e sacrifici e per la paura di poter perdere il controllo di me stessa e non ritrovarlo più, di cedere alle moine dell’altra me sazia e pingue dopo le abbuffate natalizie…

Stelle&Stalle

Nessuno ha una via di fuga dal Natale. Esso è subdolo, ideato malignamente alla perfezione perché nulla sia lasciato al caso, perché nessuno possa slegarsi dalle sue brame succulenti, dalle luci fosforescenti che ammiccano invitanti celando sfarzo e squallore in egual modo, rendendo case e città più gioviali e vivibili, lontane dalla tristezza e dalla vita normale. Stelle&Stalle: un’alchimia perfetta.
Pare che sia stato il caso e il cristallizzarsi nel tempo di pratiche tradizionali e di boom economici ad aver attenuato la componente religiosa e umile del Natale, a favore di una più spendereccia e goliardica. Pare. Non sono certa che sia così.
Ad un’analisi più approfondita la cosa risulta perfettamente, dannatamente, paradossalmente normale e figlia del tempo. Per incastrare il Natale religioso alla nostra epoca fanatica, la vergine Mary (che non sono io, ma quell’altra, più famosa) ha dovuto allargare il suo ventre per accogliere non solo il seme dell’onnipotente, ma anche Babbi Natali, Befane, alberi di Natele, lucine, stelline, torroncini, pandorini e anche, per estensione, san Silvestri, calze fumanti dolciumi, cieli stellati di comete spaventate da caos di fuochi psichedelici e botti di capodanno. E cenoni, senza fine, e pranzi sontuosi in cui non c’è limite allo sperpero, e pacchi e regali senza fine.
Cosicché, coloro i quali sono interessati a festeggiare un Natale vecchio stampo tutto Chiesa e salamelecchi pregherecci, possono farlo adattandosi però d’obbligo anche a pratiche più pagane; per contro i festaioli immotivati, possono godere del più alto grado di concentrazione di banchetti e festicciole riconosciute (e, udite udite, con senso annesso, il che consente loro di sbizzarrirsi in veglioni e balletti senza l’insana sensazione che non ci sia uno straccio di ragione valida per dimenare le chiappone con conseguente mungitura di meningi per inventarsene una di ragione plausibile…) con una capatina forzata agli strali di bontà d’animo posticcia che il Natale richiede.
Inutile continuare a ripetere la solita manfrina del Natale troppo consumistico che ha perso i valori e bla bla.
No cicci! Tutto perfettamente incastonato e funzionale. 
Così sia, amen e arrivederci all’anno prossimo.

Master of war - Bob Dylan

Come you masters of war
You that build the big guns
You that build the death planes
You that build all the bombs
You that hide behind walls
You that hide behind desks
I just want you to know
I can see through your masks.

You that never done nothin'
But build to destroy
You play with my world
Like it's your little toy
You put a gun in my hand
And you hide from my eyes
And you turn and run farther
When the fast bullets fly.

Like Judas of old
You lie and deceive
A world war can be won
You want me to believe
But I see through your eyes
And I see through your brain
Like I see through the water
That runs down my drain.

You fasten all the triggers
For the others to fire
Then you set back and watch
When the death count gets higher
You hide in your mansion'
As young people's blood
Flows out of their bodies
And is buried in the mud.

You've thrown the worst fear
That can ever be hurled
Fear to bring children
Into the world
For threatening my baby
Unborn and unnamed
You ain't worth the blood
That runs in your veins.

How much do I know
To talk out of turn
You might say that I'm young
You might say I'm unlearned
But there's one thing I know
Though I'm younger than you
That even Jesus would never
Forgive what you do.

Let me ask you one question
Is your money that good
Will it buy you forgiveness
Do you think that it could
I think you will find
When your death takes its toll
All the money you made
Will never buy back your soul.

And I hope that you die
And your death'll come soon
I will follow your casket
In the pale afternoon
And I'll watch while you're lowered
Down to your deathbed
And I'll stand over your grave
'Til I'm sure that you're dead.

Notre-Dame a confronto

Notre-Dame de Paris, il romanzo di Victor Hugo ha sempre avuto un forte ascendente su di me. Trovo, nella fattispecie, estremamente belle le parole delle canzoni di due versioni della storia: quella del film Disney "Il gobbo di Notre-Dame", e quella del musical "Notre-Dame de Paris" con canzoni di Riccardo Cocciante.
Particolarmente intriganti sono i testi delle canzoni che Frollo intona per scacciare il demone di Esmeralda che lo pervade. Molto simili, per giunta. I testi sono veramente belli secondo il mio modesto parere e non riesco a smettere di ascoltarli mi fanno nascere fior fiori di immagini mentali,pensieri, attitudini, storie.



domenica 9 gennaio 2011

Notte con demoni

Non se ne vanno mi fiatano addosso e io comincio a non sopportarli più. Ho passato la notte ad allontanarli dal mi letto, a districarmi dall'abbraccio mefitico in cui mi avevano stretta.

Urlare, strapparsi i vestiti di dosso, evadare dalle brande bollenti delletto...non basta loro mi tormentano, mi assillano...

qualsiasi cosa faccia in questa fottuta vita è sbagliata, niente ha un senso, niente è concluso,sto sbagliando tutto, e non c'è nessuno che possa aiutarmi o che voglia farlo.

non riesco a leggere o pensare sto solo a tormnetarmi per allontanarli, ma cosa vogliono da me.

Ma com'è possibile che tutti abbiano qualcuno, che tutti abbiano concluso qualcosa e io niente niente
nessuno non c'è nessuno qui vicino a me solo le pareti di questa fottuta stanza che bruciano arroventate e mi tengono prigioniera. Non non è vero non c'è neanche quello, non c'è neanhce qualcuno che mi tiene prigioniera ci sono solo io, io e me stessa ed è la compagnia più insopportabile del mondo.

Ho passato le ore più buie ad invocare aiuto, me nessuno qui può aiutarmi....

Non posso più giocare con una realtà che non esiste e none sisterà mai, non posso più sognare neanche più sognare posso, perchè rischia di fagocitarmi il sogno.

Che cosa posso fare...........................................................................................

sabato 1 gennaio 2011

Capodanno, timpani e orgasmi

Tutta questa baldoria posticcia non mi fa alcun effetto.
Non mi fa alcun effetto non essere tra i muovichiappe tarantolati sparsi per locali sempre uguali dalle musiche onniperenni.
Non mi fanno effetto i botti che continuano a sparare e i fuochi pirotecnici, quando ormai è passata un'ora alla mezzanotte.
Non mi fanno effetto le solite telefononate dei parenti che ti danno gli auguri putuali ogni Natale, Pasqua, Capodanno, ma se ci siamo sentiti tre giorni fa che senso ha rifare gli auguri, falli una sola volta e amen, noooo!?
Non mi fanno alcun effetto le frasi fatte di augurio e i buoni propositi per l'anno nuovo, una formalità cui nessuno crede ma che si continua a perpetuare nonostante tutto, perfetta maschera di falsità indossata con sfoggio e cognizione.
Mi fa effetto la crema di whisky che ho bevuto avidamente, ambrata e dolce a infuocare gola e ventre.

Ho coniato l'augurio perfetto, magnifico, vero, quello che vorrei ricevere io. Lo dedico a quei pochi che leggeranno questo post, con tutto il cuore:

Vi auguro che i vostri timpani esplodano se durante il 2011 sarete costretti, come me stasera, a sorbirvi le canzoncine di repertorio stonate che ha proponito raiuno per la notte di San Silvestro. 
E soprattutto, auguro che ognuno di voi non debba provvedere da solo ai propri orgasmi per tutto il 2011. 
A happy new year