venerdì 19 novembre 2010

Il gioco delle parti


Più che alla pulzella sbiellissima e dolciastra delle favole, sarei più adeguata al ruolo di racchia cattiva e invidiosa della suddetta pulzella. Quella che se ne sta in ombra, a tramare ghignante il prossimo cattivissimo piano per far cadere in disgrazia qualcuno…magari con una verruca sul naso aquilino, mani rachitiche a rimestare occhi di tritone e code di lucertola (anzi no niente lucertole mi fanno schifo…facciamo code di topo…sì decisamente le code di topo le maneggerei più volentieri) in un calderone ribollente, vestita di abiti stracciati e sgualciti, neri e grigi, sovrapposti però ad arte perché lo stile non è un optional esclusivo delle protagoniste, o ce l’hai o non ce l’hai e anche con degli stracci addosso non puoi esimerti dal manifestarlo in un’ancestrale certezza.

Ora, un essere così infido e nebuloso non è certo il protagonista della storia, è spesso antagonista e sempre fa una pessima fine perché la sbiellissima dolciastra possa vincere il male e regnare con la sua aurea di bontà divina e illuminare la terra di sbiellezza e dolciastrinerie varie…ecc ecc. Vissero tutti felici e contenti e Gollum crepa tra le fiamme di Mordor, ma nessuno pensa mai che il povero Gollum, la povera strega che trama all’ombra della bontà rifulgente, insomma che ‘sti poveri sfigati siano così antagonisti e così malvagi proprio perché non sono protagonisti, perché il crudele destino ha assegnato loro una ben grama sorte e questi si sono adeguati, e che potevano fare? Il ruolo del protagonista o co-protagonista era assegnato o questo o nisba! Se la sbiellissima fosse catapultata al posto dell’infida megera, la sbiellissima si tramuterebbe in arpia dalle fronde magari luccicose, ma megera sarebbe, e che megera! Più megera della megera stessa.

Tutto questo orpello di ossimori ridondanti per rivelare, biblicamente rivelare, che ogni essere è il risultato della sua storia e del posto, reggia o fogna, in cui il destino e la vagina materna lo hanno sparato alla nascita.
Quindi tu donnina infiocchettata degna della tua beltà regale che con fierezza acerba calpesti le strade cittadine convinta di poter conquistare il mondo, forte della tua capigliatura trattata, della tua famiglia benestante, del papiiiino grondante soldi che ti adddooooora e ti compra le mutande Ck e la cinta D&G e la gonnella V-A-effe-effe-anculo perché sei trooooooppo intelligente e all’università sbaragli la concorrenza con i tuoi successi accademici del cazzo che tanto fiera rendono la mammiiiiiiiina botulinata, be’ tu…dico a te…sappi che quello che sei è solo il risultato dell’ambiente in cui vivi, non è niente di speciale, non sei niente di speciale sei solo il prodotto che risulta dalle componenti in gioco (per dirla come il tuo prof di economia, quello rinomato che ti ha messo 30L all’esame perché tu, diciamocelo, con i soldi ci sai proprio fare, un dono innato, c’è chi dipinge e chi armeggia soldini ad arte). Sei un oggetto perfettamente preposto alla pubblicizzazione e alla vendita, modellato, prepensato e perfettamente riuscito, da porre sugli scaffali tra gli altri oggetti affini, prodotti in serie alla scelta del consumatore ovvero l’uomo con cui dovrai costruire la famigliola perfetta o il datore di lavoro per la tua carriera perfetta o la catena di centri commerciali cui voterai la tua anima in denaro. E anche per il mercante esotico e squattrinato che vorrà venderti qualche dattero ambrato, dolcigno al morso e una lampada magica e che tu, sdegnosa rifiuterai perchè a parte la mancanza di classe del tipo (sembra uscito da una propaganda contro la fame nel mondo, ma non per essere razzisti eh…tu anzi fai un sacco di beneficenza inviando sms a ogni associazione benefica, come se il tuo nokia ultimo modello fosse l’arma giusta per salvare il mondo, hai uno spirito candido tu, mica si scherza su certe cose!), che cavolo te ne faresti d’altronde di una lampada magica e del sapore di terre lontane? Non sei programmata per quelli, come potresti desiderarli o saperli utilizzare? Lasciamoli stagnare tra le mille (pagine) e una notte frantumata di stelle per cieli altrui.

E tu figlio di modesti borghesi che in sereno e placido bivaccamento metropolitano ti cresci saltando dune con skateboard e invaghendoti della compagna prima e meglio mestruata, che ti disdegnerà, prediligendo il figo ossigenato per poi rivendicarti quando il caso vi farà ritrovare nella stessa aula liceale tra le scritte pseudo ribelli, sulle mura, in cui ricercherai la dichiarazione d’amore di tuo padre per tua madre, perché era amore quello prima di diventare urla e indifferenza quotidiana, almeno così dicono che era amor,e e tu ci credi e sai che a te non andrà così, oh no…tu sei destinato al grande amore, alla grande carriera nell’edilizia salvo poi percorrere le identiche mosse di tuo padre a cominciare dallo stesso messaggio inciso sul muro del liceo che tuo figlio un giorno ricercherà e duplicherà in una catena infinita, perché poi, chi lo dice che dovrebbe essere un male? E’ l’unica alternativa possibile questa, scritta per te e chi tu sei per metterla in dubbio?

E tu giovane virgulto sferzante il vento fin dall’infanzia serena per tutti quindi non per te, con la strada per madre e il dispensatore di gettoni da videogame per padre. Il padre perfetto, meglio dell’altro scomparso chissà dove tra i fumi dell’alcol mentre tua madre giocava a bridge con le sue amiche dallo stesso taglio di capelli e dalle stesso amante dall’accento affettato e dal cardigan pastello, se va bene con mezza delle due palle solitamente concesse agli uomini, te lo mangi a colazione l’ultimo cardigan-boy che tua madre porta a casa dal bridge, perché tu di palle sì che ne hai due, ti servono per sopravvivere, per farti i soldi e una vita migliore di quella che quei due sfigati dei tuoi genitori ti hanno dato, e te la fai spacciando e rubando, racimolando soldi, e godendoti qualche meritata ora di relax con la puttana del quartiere che tu solo hai sedotto a 14 anni, non sapendo povero cucciolo, che tanti prima di te aveva sverginato. E sì, anche la tua di storia è scritta in inchiostro e lettere grame, ma non è colpa tua, giovane virgulto della strada: è quello che ti è toccato mentre si decideva il destino di ognuno, destino che hai seguito chinando il capo e accettando l’ordine supremo. L’equilibrio lo pretende dopotutto: ogni due beoni altolocati con spider e cravatta, uno sfigato con temperino o occhiali rotti.

E tu dolcezza sola e sconsolata, “la zitella” - ti chiamano, “eccomi” – rispondi rodendoti il fegato con lancinanti dolori e chi sei per invertire un cliché? Sei sola e nata per questo, tra le milioni di persone sole al mondo tu spicchi come un rigo evidenziato di giallo elettrico, pulsi sotto gli occhi dei facili pregiudizi, rassegnata al ruolo che, nel gioco delle parti, ti è stato assegnato. Nessuno saprà quanto sono voluttuose le tue labbra, nessuno quanto zuccherina la tua bocca, sono loro a perdere un nettare tanto prelibato, solo che lo ignorano perché da sempre si accontentano dell’unico sapore stantio-dolciastro che conoscono. Non avercela con loro. Non sono programmati per capire, per cercare, per scoprire, solo per nutrirsi con ciò che viene loro messo sotto le labbra meccaniche e glaciali come quelle dei morti. Morti dentro. Vitrei fuori.

Tu nerd senza amici e ragazza, dal cervello come un grande e geniale calcolatore.

E tu seviziato dal fratello, seviziatore da adulto.

Tu, bella e modella, ricca e snella, la ribalta di Hollywood ti aspetta non importa quanto la meriti o quanto tu sia brava. Così è.

Tu bimbo triste, dagli occhini neri come mari di petrolio sconfinati in avventure mai scritte, tu bambino dal nome presto dimenticato, sei destinato al dolore e alla morte prematura, serrata nelle gelide ante di una bara bianca che tronca l’evoluzione di qualsiasi storia possibile e che si scioglierà nella lacrime di tutti quelli che la vedranno passare, austera, a ricordare loro che sono vivi e fortunati di esserlo, a imprimere a sangue sulla loro pelle la certezza che qualcuno o qualcosa decide della loro vita.

Le favole sono scritte.
Le parti distribuite.
Non occorre che vi caliate nei vostri ruoli.
Ci siete già.
Solo che lo ignorate.

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