mercoledì 31 agosto 2011

Qundi? - seconda parte

Quindi scriverò lo stesso perchè ho una mezza idea su un tema da sviluppare in tre storie,perchè l'ho promesso a un paio di persone cui tengo, perchè voglio far leggere qualcosa si mio a un orco che deve darmi il suo parere e non solo...

Quindi?

Voglio scrivere.
Ma ho paura...

Il cambiamento comincia da un numero

E dopo più di dieci anni ho cambiato il mio numero di cellulare. E ora sto qui a rimuginare sulla portata degli eventi che mi hanno spianto a farlo.... Che sia il principio di un cambiamento reale?

Prossime incombenze

Filosofia della mente. (Brrrr si èalzato un ventogelido al solo nominarlo come quando si pronuncia il nome di Colui che non deve essere nominato)

Uscire con le due amiche che mi hanno tirato il pacco a luglio (This is immaginifica cronaca dell'evento)

Uscire con due colleghe i lavoro.

Andare all'unisperando di non aver combinato grosso guaio con il prestito interbibliotecario.

Farmi contatto facebook per tenermi in contatto con un po' di gente.

Wow...rileggendo sembra quasi abbia una fita sociale. Quasi...

Viennetta 10 e lode


Primo giorno libera dal lavoro festeggiato con torta gelato Viennetta Creme Brulee. Non l'avevo mai provata e ora devo trattenermi dal costruirle un altare e venerarla...

Perchè le parole di questa canzone mi frullano in testa?


Non è neanche il mio genere, non è. Ma in queste parole c'è qualcosa di me....

Non riesco a scriverlo

Un'ultima parentesi sul mio lavoro ormai finito e poi per agosto chiudo.  Avevo promesso a qualcuno di scrivere sui miei sensi di colpa e sentimenti contrastanti sulla fine della mia estate lavorativa ma per ora passo.
Mi spiace davvero non poter più lavorare con persone tanto splendide e intendo quelle con cui ho lavorato nell'ultimo mese perchè solo qualcuna mi mancherà dell'altra sede.
Spero di aver lasciato anche a loro qualcosa e di non perderle del tutto... Lo spero tanto....E' tutto quello che riesco a scrvere al momento e non so perchè.

Conversando con gli allocchi

"E te come va?"
"Ma si ma va bene sai ho finito di lavorare oggi... Qui che di dice?"
"Tutto ok e a te come va?"
"Mmmm sì...bene bene,ma vedo che ci sono delle novità"
"E sì sai ...ma  ate come va?"
"(Sigh!) Bene bene....mi sono trovata benissimo nelle altre sedi"
Facce estremamente sosprese, si scambiano sguardi perplessi, da interpretare come si vuole io sono indecisa tra:"cavoli si è trovata bene lì in quei manicomi e con quella gentaglia" e "lei??? Ce la siamo scotolata noi e si è trovata bene lì!!!"
Nella mia testa: "Sì fottiti befana isterica,mi sono trovata benissimo lì anche se voi vi siete liberati di me come di un peso morto perchè lì ci sono persone meravigliose molte più di qui di certo e avete fatto benissimo a liberarmi di me altrimente sarei morta in mezo a tanti silenziosi scimuniti a parte quei quattro decenti che hanno la sfiga di dovervi soppartare."
Risposta effettiva: "Eh sì, benissimo mi è spiaciuto anche andare via ma andrò a trovarli spesso."
"Mmmmm"
"...Sì... ora vado a salutare gli altri"
"Ciao"

Avevo quasi dimenticato quanto può essere pesante parlare con un muro....

La differenza si vede quando c'è

In questi due mesi di lavoro mi sono sucesse molte cose, ho attaversato talmente tanti stati d'animo, alcuni addirittura inediti, che potrei scriverci su un decalogo completo di questi comprensivo di misure di gestione per ognuno di essi.
Non farò niente di tutto questo. Ma una cosa la voglio dire. Su tre sedi in cui ho lavorato in due mi sono trovata benissimo, non in quella del mio paese. Tranne che per tre o quattro di loro che sono persone bellissime che spero di risentire, gli altri sono degli emeriti coglioni. Ripeto: emeriti coglioni. E stupidi.
Ricordo come cercassi di stabilire un legae,di arlare di spiegarmi di ESSERE e come loro a malapena ti rispondevano, per non considerare quelli che ti guardavano come fossi caduta dalla luna e fossi una inutile palla al piede. Ripeto solo poche di queste persone mi hanno lasciato qualcosa e non ho intenzione di perderle. Gli altri si fottano.
Nonostante tutte le scomodità che lavorare fuori sede mi ha comportato, sono felice che mi abbiano trasferita perchè ho potuto conoscere bella gente che mi ha arricchito e fatta crescere in tutti i sensi.
Ed è indicativo che tra tutta questa bella gente, del mio paese ce ne sarà al massimo una. Molto indicativo...

Pablo Neruda

[...]
T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

domenica 21 agosto 2011

La più grande cazzata mai raccontata

"La religione detiene il record per la più grande cazzata mai raccontata. Pensateci: la religione ha convinto la gente che c'è un uomo invisibile che vive in cielo, che guarda tutto quello che fai, ogni min...uto di ogni giorno! E l'uomo invisibile ha una lista speciale di dieci cose che non vuole che tu faccia, e se fai una qualunque di queste dieci cose, lui ha un posto speciale pieno di fuoco e fumo e fiamme e torture e angoscia dove farti vivere e soffrire e bruciare e soffocare e urlare e piangere per tutti i secoli dei secoli fino alla fine del tempo... Però ti ama... ti ama e ha bisogno di SOLDI! Ha sempre bisogno di soldi. È onnipotente, perfetto, onnisciente e immensamente saggio, ma per qualche motivo non ci sa fare con i soldi. La religione incassa miliardi di dollari, quelli non pagano tasse, e hanno sempre bisogno di un po' di più. Ora ditemi se non è una gran bella stronzata."

George Carlin

I nostri aliti fanno delle nuvole che fanno piovere

Ancora sul Papa e sulla sua effettiva utilità su questo pianeta

" Meglio un santo morto che un coglione vivo." [cit.]

Terrore dai cieli

"Chiuso lo spazio aereo su Madrid durante la visita del Papa. Si temono attacchi dall'alto dei cieli."

www.spinoza.it

Sfida bossa nova




Io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite




Nell'anno '99 di nostra vita
io, Francesco Guccini, eterno studente
perché la materia di studio sarebbe infinita
e soprattutto perché so di non sapere niente,
io, chierico vagante, bandito di strada,
io, non artista, solo piccolo baccelliere,
perché, per colpa d'altri, vada come vada,
a volte mi vergogno di fare il mio mestiere,

io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite,
riflettori e paillettes delle televisioni,
alle urla scomposte di politicanti professionisti,
a quelle vostre glorie vuote da coglioni...

E dico addio al mondo inventato del villaggio globale,
alle diete per mantenersi in forma smagliante
a chi parla sempre di un futuro trionfale
e ad ogni impresa di questo secolo trionfante,
alle magie di moda delle religioni orientali
che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero,
ai personaggi cicaleggianti dei talk-show
che squittiscono ad ogni ora un nuovo "vero"
alle futilità pettegole sui calciatori miliardari,
alle loro modelle senza umanità
alle sempiterne belle in gara sui calendari,
a chi dimentica o ignora l'umiltà...

Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato,
cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna
che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia,
io, tirato su a castagne ed ad erba spagna,
io, sempre un momento fa campagnolo inurbato,
due soldi d'elementari ed uno d'università,
ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato
dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà...

Io dico addio a chi si nasconde con protervia dietro a un dito,
a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia
o sceglie a caso per i tiramenti del momento
curando però sempre di riempirsi la pancia
e dico addio alle commedie tragiche dei sepolcri imbiancati,
ai ceroni ed ai parrucchini per signore,
alle lampade e tinture degli eterni non invecchiati,
al mondo fatto di ruffiani e di puttane a ore,
a chi si dichiara di sinistra e democratico
però è amico di tutti perché non si sa mai,
e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico
ed è anche fondamentalista per evitare guai
a questo orizzonte di affaristi e d'imbroglioni
fatto di nebbia, pieno di sembrare,
ricolmo di nani, ballerine e canzoni,
di lotterie, l'unica fede il cui sperare...

Nell'anno '99 di nostra vita
io, giullare da niente, ma indignato,
anch'io qui canto con parola sfinita,
con un ruggito che diventa belato,
ma a te dedico queste parole da poco
che sottendono solo un vizio antico
sperando però che tu non le prenda come un gioco,
tu, ipocrita uditore, mio simile...
mio amico...

Parla di me....

martedì 16 agosto 2011

So Cute


La casa degli spiriti


Solo quando è scorsa via l’ultima riga dell’ultima pagina di questo libro, ho ricordato perché in altre epoche della mia vita, le storie di Isabelle Allende mi avevano tanto affascinata. Per capirlo ho dovuto vincere quella maledizione che da gennaio 2011, si è avvinghiata come un polpo testardo a me togliendomi l’unico sollievo, l’unica certezza della mia vita. Quella capacità di perdersi in un libro, smarrirsi come vittima di incantesimo abbandonando le spoglie reali in qualsiasi circostanza, e immergendomi nel piacere di un libro. Con un atteggiamento critico particolarmente appuntito, dall’inizio dell’anno ho affrontato qualsiasi lettura, trovandone irritante lo stile, banale la trama, volgare l’intreccio. Tutte cose che mi hanno spinto ad abbandonare il libro suddetto, certa che fosse un’emerita schifezza.
Non sembrava diverso anche in questo caso, le prime pagine erano un continuo soffermarsi ad analizzare scelte letterarie tanto scontate, trite e saccenti da rendermi impossibile continuare la lettura, ignorandone l’indignazione seccata che comportava la chiusura immediata e irreparabile del tomo.

Mi sono dovuta costringere ad andare avanti ed è stato un bene, perché non ho solo recuperato la voglia di leggere, ma ho anche capito che anche le scrittrici più amate possono non essere infallibili, che si cambia, che si cresce, soprattutto da lettore, che quello che a 13 anni poteva lasciare senza fiato dall’adorazione, a 28 è sottoposto a critica ferrea e consente di ammettere, in tutta onestà che “La casa degli spiriti” di Isabelle Allende non è un capolavoro, non è un brutto libro, non si trova neanche a metà tra un capolavoro e un brutto libro.

La prima metà è incredibilmente difficile da leggere. Il punto di vista del narratore continua a cambiare, passa da un paragrafo all’altro dalla prima alla terza persona e nonostante con lo scorrere del racconto ci si abitui o si viene assorbiti dalla trama e se ne faccia poco caso, continua a mantenersi una scelta cattiva e straniante per il lettore perché lo costringendo a tornare continuamente indietro per capire cosa è successo. Cosa è cambiato e ha interrotto il percorso che faticosamente seguiva. Faticosamente perché la storia è piena di salti, anticipazioni di eventi, rivelazioni sulla sorte dei personaggi che sono dannatamente irritanti e non danno all’intreccio una ragione d’essere.
Altro aspetto odioso, le iperbole, i virtuosismi stilistici fini a se stessi e le scenette tutte fronzoli e sentimentalismo stantio, melassa pura fatta per infiocchettare i momenti amorosi (soprattutto) e renderli il più perfetti possibile. Risultato: sembrano scene tratte da un teleromanzo di quart’ordine, stracariche di clichè che inficiano l’umanità di scena e personaggi.

Tutto il libro è un racconto tratto dai quaderni di una delle protagoniste, è quindi chiaro che alcuni eventi, a cui la protagonista in questione o coloro che narrano non erano direttamente presenti, non siano sviluppati nei dettagli, ma spesso i destini di qualche personaggio o un avvenimento viene lasciato penzolare in mezzo al nulla, mentre si ripetono fino alla noia descrizioni o elementi di contorno, o anche stati d’animo già abbondantemente abbozzati.
I personaggi sono spesso l’uno la caricatura dell’altro a parte Esteban Trueba che mantiene  quantomeno una sorta di identità circoscritta, gli altri si ripetono come fotocopie nel corso delle generazioni. Il che credo sia in parte voluto visto che una delle conclusioni della storia è che i personaggi che si danno il cambio nelle grandi dimore in cui la scena per lo più risiede, sono parte di uno stesso destino, legati da filo che li incatena tutti gli uni agli altri, affinchè niente resti inspiegato e anche le cattive azioni e le tragedie, trovino un senso, quel significato spirituale ed esoterico che la tradizione sudamericana sostiene. D’altro canto è abbastanza noioso soprattutto nel caso delle donne che sembrano essere l’una la copia dell’altra con lo stesso carattere ribelle e lo stesso destino amoroso. In definitiva, sono l’estensione della vita o della propensione caratteriale della scrittrice che in questo non ci ha messo molta fantasia.

A sua discolpa è chiaro ed evidente il carattere autobiografico del romanzo. Credo d’altronde che tutta la storia della famiglia Trueba sia stata una scusante, un corollario di quello che voleva essere il racconto degli sconvolgimenti politici che hanno dissestato il Cile nel secolo scorso. Soprattutto del golpe di Pinochet del’73, che ha vissuto in prima persona l’autrice Il che si sente dannatamente nelle ultime 60 pagine.
Vale la pena leggere quel libro solo per queste righe finali. Non solo per la ricostruzione storica addolcita dal romanzato, ma per la potenza delle argomentazione, la vivacità concreta degli animi, dei pensieri, dello stato globale del paese e delle paure più intime di coloro che hanno vissuto la dittatura o che sono state vittime di questa. E poi il bisogno totalmente umano di ribellarsi, la rivoluzione come unica arma, la giustizia, la libertà. Questi temi e il modo in cui la Allende te li sbatte in faccia come fossero scontati. E il sostrato onirico con cui la vita viene interpretata, come fosse un libro da scrivere/già scritto in cui tutto ha un valore, tutti hanno valore anche chi apparentemente è inutile, anche le porte che si muovono da sole, perché dietro c’è uno spirito che le fa dondolare.
E la solitudine che non esiste, e la morte che è solo un passaggio e il tempo che è solo una parola. Questa dimensione che riesce a costruire la Allende è eredità della cultura che l’ha cresciuta e di autori che hanno forgiato quel realismo magico che mi ispira di brutto.
E che continuerà a farmi amare questi libri, nonostante le loro pecche stilistiche, nonostante non abbia più tredici anni, nonostante le stelline su anobii non saranno più di tre.
Nonostante da troppo tempo, io, abbia perso la capacità di vivere in una casa degli spiriti.

Il mio ferragosto

Me ne sto a casa oggi, sghignazzando di soddisfazione perchè sta per piovere e tutti i cicisbei derelitti che avevano deciso di passare ferragosto a smangiucchiare in spiaggia, compresa la mia nutrita accozzaglia di parentame e cuginame, scapperanno come gnu inseguiti da iene non appena scenderanno le prime gocce d'acqua, compresa la mia nutrita accozzaglia di parentame e cuginame, per andare a rifuggiarsi sotto pergole come gattini bagnati, contriti, a urlare contro il cielo che con la sua pretesa di sostenere la vita e alleviare la siccità imperante, ha osato, manigoldo, alterare la loro perfetta giornata di niente facens identica a mille altre giornate di niente facens estivo, tranne per il fatto che tutti saranno impegnati nello stesso niente facere, la stessa ora, lo stesso giorno. Ah, ovviomente compresa la mia nutrita accozzaglia di parentame e cuginame.

Per il resto sorseggio coca cola ghiacciata e mi sn preparata pranzo a base di tre tipi di gelato diverso: vaniglia con caramello fuso, gelato con brownies in pezzetti e crema con zuccherini e scaglie di pistacchio. Probabilmente vomiterò dopo, ma ne sarà valsa la pena.

L'agenda coi lamponi

Devo scegliere il prossimo libro da leggere negli intervalli del lavoro. Credo sarà una rilettura, uno di quei classici che lesse un'altra me in un'altra vita perchè io non li ricordo proprio.

Lo sceglierò sulla base di quelli trascritti sull'agenda con i lamponi, così sarò come lei. E il mio destino sarà comeil suo.

Se leggo i libri trascritti sull'agenda coi lamponi...

Un dio nell'autobus

Oggi in pulman mi sono seduta, volutamente, accanto a un dio africano dalla pelle lucente come l'alabastro, il sorriso d'avorio, che incorniciava labbra di rosa e naso a cuore. Aveva riflessi di tenebre lucustri negli occhi e il colore del cioccolato al caramello sulla pelle. La voce sembrava tuono che prorompeva da intimità irraggiungibili, i capelli riccioli di liquerizia, le mani da stringere, i muscoli guizzavano su gambe e spalle come quelli di un cervo in corsa. Era disegnato dal più perfetto dei pennelli e non si poteva evitare di guardare, odorare, ascoltare.

Mi ha parlato per 10 minuti e io ero felice. Perchè era un dio della savana e mi ha incantata.
Poi quel cazzo di pulman è arrivato troppo presto e io sono dovuta scendere...
E vaffanculo.

Dure realtà

Pare che io abbia la "profondità di un cucchiaino". Il che non è detto non sia vero, ma proviene da una testa di fricassea che non sa niente di me nè delle altre cose del mondo.
L'ingrato insulto è seguito a un mio commento su una citazione tratta da un libro.
Mi diverte troppo questa cosa che credo continuerò a imbastire spiegazioni sul perchè ho criticato la citazione da loro tanto amata, finchè non si piegheranno sulle loro gambette e non realizzerannno senza ombra di dubbio che loro non sono profonde come credevano, ma che illimitatamente profonda è la loro stupidità, quella sì.
Ma forse sono così stupide che non capiranno mai quanto sono stupide e continueranno a sentirsi solo estremamente e incomprensibilmente - per i normali- profonde.
Nessuno potrà dirmi che comuqnue, non ci abbia provato io, a metterle di fronteal la dura realtà...

Silenzio con ghiaccio

Oggi mi hanno fatto andare a lavoro solo per starci un'ora e mezza. Poi rinviata a casa visto che non sono arrivate le robe da sistemare. Fico. Non fosse che questo renderà estremamente pesanti le prossime 5 giornate che saranno tutte di lavoro pieno e tutto il giorno. Pazienza. Cerco di godermi l'oggi il più possibile.

E per farlo mi sono messa a leggere, quindi a vedere film tratti da ciò che leggevo, quindi a scrivere di cose che avevo letto e di cose che non avevo letto, fuori, in pace,ci rcondata da un silenzio inusitato, col cielo che andava coprendosi di nubi grossolane, che sono scomparse come sono arrivate, lasciando ancora il regno dei cieli a un sole di grano, urticante e molesto. Ma finchè è durato il fresco me lo sono goduto, ho scritto come una matta col pc arrampicato sulla sedia, seduta su un cuscuno a sorseggiare coca cola con ghiaccio e a respirare un vento opaco.

E ho scritto e ho scritto e finalmente, cazzo, ho scritto....

Notti stonate

Questo è il fracasso raggae che i miei timpani hanno dovuto sopportare mentre imperversava nella discoteca vicino casa mia. Tutta la notte. Pare ci fossere 5000 persone. Non ci credo e non perchè non creda che tutti i minchioni del circondario non si siano fiondati lì, la maggior parte senza neanche sapere chi fosse il rumoroso tipo. Ma pechè là dentro 5000 cristiani non ci entrano neanche se stanno impilati gli uni sugli altri. La raccontassero a qualcun'altro la storiella...

martedì 9 agosto 2011

Dall'immagine, una storia

Trattasi di un esercizio di scrittura. Pare che il mio racconto non sia stato giudicato granchè dalla promotrice dell' esercizio. Come è, come non è, la storia esiste e prima di cancellarla dalla memoria mia e del mio pc, sarà meglio inciderla in queste pagine.

Fu un’inaspettata brezza a ridestarlo dal torpore. La cappa di aria calda e immobile si stava diradando. Soffocava l’ala Est della città, da giorni, l’ultimo regalino delle bombe al Napalm. Ma almeno l’ala Est c’era ancora. “Maledetti ominidi!”- era tutto quello a cui riusciva a pensare il Comandante Karotòn – “Si staranno abboffando ancora con i resti dei miei soldati. Arrosto di coniglio bell’e servito! Bestie!”.
Era reduce da tre giorni di appostamenti al porto. Riusciva a sentire ancora quel maledetto odore. Pesce rancido ecco cos’era, pesce rancido che ammorbava tutto. Che ammorbava lui, ce l’aveva addosso e non sarebbe più riuscito a liberarsene. Emanava da ogni lembo della sua pelliccia. Pelliccia?! Piuttosto un cencio spelacchiato! Forse una volta lo era stata, una pelliccia, dal colore del petrolio e lucente come l’ebano, a giocare di contrasti con le sue orecchie, lunghe, bianche, orgoglio e marchio della sua famiglia. I Karotòn! Rinomati in tutto il Reame Conigliese, la cui stirpe resisteva fin dai giorni della creazione dei primi esemplari degli Homocuniculus. E ora sarebbe toccato a lui vedere la sua razza soccombere e scomparire.
Si massaggiò il collo cercando un po’ di sollievo dalla stanchezza, dai ricordi.
Se quella era l’unica vita possibile per gli uomini-coniglio, meglio la morte. E vide che era rosa. Il cielo era rosa. Era già il crepuscolo. Solo allora, l’urgenza del suo dovere ripiombò sulle sue spalle, curvandole sotto quel peso gravoso, e facendogli reclinare la testa nuovamente verso terra: “E’ già il tramonto, ti vuoi muovere!” – intimò verso la figura che armeggiava sugli scalini ai suoi piedi.
Forse per la stanchezza o più sicuramente per la sorpresa, non emise un fiato quando incrociò gli occhi di una ragazza. Una ragazza umana, lì, nel pieno dell’avanguardia conigliese. “Sono carina vero?!” cinguettò la ragazza e schioccò un bacio soffiandolo nella sua direzione. “Sei ridicola Grovieras, ma come dannazione ti sei conciata!” - urlò il Comandante, allargando le braccia, esasperato –“ Io non l’ho mai vista un’umana andare in giro vestita così! Lo sapevo che era una sciocchezza, affidare una missione tanto delicata nelle mani di una svampita!”. Ma neanche i suoi urli di stampo militare l’avrebbero scomposta, lo sapeva bene Karotòn. Nessuno dei suoi soldati era mai riuscito a tenergli testa come quella coniglietta. Infatti, Grovieras continuò tranquillamente ad attaccare adesivi di conigli rosa sul calcio di un fucile e rispose melliflua, anticipando un’altra prevedibile esplosione di rimbrotti: “Lo sto solo abbellendo…non ti alterare: ho studiato la mia parte alla perfezione, guardami? Neanche mia madre mi riconoscerebbe, sembro umana al 100%. Non sono una principiante e lo sai. Tu lo sai più di tutti”.
Sì, lo sapeva. E doveva ammettere che quegli intrugli che facevano cadere il pelo e acquistare sembianze umane per qualche ora, erano miracolosi.
“E comunque” – continuò la ragazza prima di perdere la sua attenzione – “è così che piacciono le donne agli ominidi.” Karotòn storse le labbra in un’espressione di disgusto. Il corpo delle donne umane, più che quello degli uomini, l’aveva sempre disgustato, così nudo, senza soffice e profumata peluria…sembravano morte. Grovieras se ne accorse: “Certo è una mise un tantino ridicola lo ammetto, ma sono ominidi che ti aspetti!”.
Squadrò perplessa il suo abbigliamento: un corpetto nero le cingeva il busto, lasciando scoperte le braccia, e parti dei seni e del ventre comparivano tra i lacci troppo lenti. Cercò con le mani il fazzoletto di stoffa arancione e pizzo che aveva per gonna e che a malapena le copriva il pube. Calata nella parte,  carezzò con lascivia una gamba e indugiò sul ginocchio, a stringere il nastro che le serrava le calze bianche. Risalì, sfiorando con le dita il polso stretto in un guanto nero che lasciava le dita scoperte, quindi attraversò le braccia, il collo circondato da un collare nero e rosso, intrecciò le dita tra i capelli turchini e scostò da un lato un piccolo cilindro nero, adornato da un grosso fiocco rosa. “Questo è un tocco di classe che ho aggiunto io” disse e sorrise salace – “Visto che gli ominidi pare non vogliano che noi siamo altro che dei conigli in un cilindro…”. “Tu devi essere un coniglio in una torta, invece!” abbaiò Karotòn -“e smettila di mangiare quella mela!”. Grovieras sbuffò, lasciò che la mela rotolasse sugli scalini e concluse: “Sì sì, lo so, melo hai ripetuto cento volte: mi intrufolo nella torta finta, sculetto in giro per la festa del Generale, me ne vado in camera sua e lo sgozzo. Poi dissemino qualche coniglietto-bomba in giro…eccoli, non sono pucciosissimi?” afferrò il coniglietto di pelouche abbandonato sullo scalino, lo accarezzò e lo depose in una borsa: “Missione compiuta. Zimbambum. Non avrai neanche il tempo di farti un saltello che tornerò da te e non ti lascerò più. Contento?” concluse e lo fissò.
Poteva anche avere le sembianze di un’umana, ma quegli occhi rotondi, rosa, capaci di sorridere vezzosi, erano solo i suoi. “Non ti manderei se sapessi che non puoi farcela” sussurrò il Comandante, e distolse lo sguardo subito dopo. Grovieras si alzò, scese gli scalini in modo da dargli le spalle. Disse: “Non hai scelta. Guardati intorno: siamo già un ricordo”. Karotòn fissò i palazzi allungarsi in grandi ombre, come bare pronte a ricoprire tutto. In quella parte della città, l’architettura conigliese era quasi scomparsa, i palazzi erano squadrati, di chiara matrice umanoide e solo qualche decorazione a porte e ringhiere, conservava segni del loro retaggio. Un uomo-coniglio attraversò la strada strascicando i piedi e si confuse tra le ombre sempre più lunghe dei palazzi.
Anche Grovieras cominciò ad allontanarsi. “Allora… ti aspetto” disse Karotòn e subito aggiunse con voce più atona: “Ma prima di venire da me, vedi di tornare normale”. La coniglietta si girò, gli occhi come lumini rosa nella penombra, gli regalarono un ultimo sorriso vezzoso. Poi scomparve, inghiottita dalle ombre dei palazzi.

E scriverò

Voglia di scrivere, di ritrovare quelle storie di vita, non più negli spazi bianchi di un libro, ma dentro parole che sono mie, mie soltanto.

Mentre i miei polmoni incartapecoriti finalmente si ossigenano nell'aria della sera, una luna senza un occhio canta con la voce di centinaia di grilli, il cielo riprende ad avere consistenza. E una nuvola così piccola, così sfilacciata da essere notata solo da chi ha perennemente la testa rivolta verso il cielo, si guarda intorno intimidita, come un piccolo squalo che ha smarrito il branco e si ritrova solo, nell'immensità dell'oceano.

E scriverò.
Finchè avrò forza.
Finchè non apparirà l'ultima stella della notte.
Finchè la collana di fiamme topazio che ingioiella la collina dell'ennesimo incendio della stagione, non arriverà fin qui, ingoiando tutto con la stessa perizia di una fiaccolata sacra, atta a mondare il mondo dei suoi peccati.

Finchè tutto non taccerà. Per sempre.

Qui ce dicono de vive da morti, pe' poi resuscità