venerdì 19 novembre 2010

La finta risposta della mia eco


“Non sei una che chiede aiuto, vero?” domanda con la vezzosità tipica di chi crede di essersi imbattuto in un innegabile nodo gordiano di dimensioni epocali, la cara psicologa alla mia seconda seduta.
No, cara la mia dottoressa, non chiedo aiuto, solitamente. Solo che lei crede sia per scelta doctor, suppongo che lei supponga che una sorta di macabro e perdurante orgoglio mi impedisca di aprire il mio cuore, i miei sentimenti, il mio essere più ciarliero e insito nelle profondità inconsce ecc ecc…

Ma, il nodo gordiano ha bisogno di essere riveduto e corretto, I suppose.
Vede doctor, non è che io non chiedo aiuto, non mi apra, non mi appoggi, non mi spartisca in piccoli dispacci da condividere con gli altri in uno scambio equo e solidale…non è che non lo faccio perché mi stizzisco, mi turbo, mi reprimo, perché scelgo di inculcarmi tutto nell’animo fino a cagare sangue pur di espellerlo in qualche modo, cercando di evitare che me lo avveleni il sangue, decolorandolo da scarlatto vivace in brunito fetido. Eh no…sarebbe troppo semplice così.
Il punto è, cara la mia dottoressa, che pur volendo, pur desiderando ardentemente poter chiedere aiuto, poter condividere, ridere, pisciare in compagnia, con chi diamine dovrei farlo? A chi è, signora luminare della psiche, che dovrei chiedere aiuto se quando parlo la mia voce rimbalza e torna indietro senza che venga catturata da nessun padiglione auricolare alieno? Come faccio a parlare con qualcuno se a rispondermi c’è solo la mia eco?

C’era qualche fedele e stranamente affine pseudo-amico internettiano che diceva di voler essermi amico, confidente, spalla, aiuto, compagno a secondo dei casi o non lo diceva ma lo lasciava intendere. Ma ora non c’è più. Tutti dissolti in tanti pixelini carini carini, muti i cellulari, muto messenger, muta la mail.
Per esempio. Facciamo un esempio semplice semplice, come piace a noi.
C’era anche questa ragazza splendida che ho conosciuto quasi per sbaglio su anobii e conoscere ha qui connotazioni abbastanza blande perché ci siamo sentite solo poche volte, troppo poche per rendere il verbo carico e maturo come un albero di pere Abate in questa stagione. Insomma stessa mia età, stessa mia facoltà anche se in università diverse, stesse passioni come il rock anni 70/80, la  letteratura, la cultura punk, sguardo affine nel soppesare cose, mondo e vita. Probabilmente lei è più in gamba di me e meno fallimentare di me visto che mi ha confidato di avere sempre avuto degli amici intimi e speciali su cui poter contare e delle storielle d’amore abbastanza durature, insomma tutte cose che io neanche con il telescopio ho mai visto, ma comunque parlare con lei era uno spasso perché qualsiasi cosa dicessimo combaciava come se a rifletterlo fosse il medesimo specchio. Il chiacchierare divertente, anche se nella forma della mail, limitata e apprezzata da due anime letterarie come noi.
Fatto sta che qualsiasi sia la ragione e se ragione esiste o meno, non la sento oramai da un mese, non mi ha risposto alla mail e non mi scrive più. Ho vagliato ogni ipotesi dalla più tragica a quella più banale, ma il tempo passa e non si fa sentire. Il punto è che questa volta non ho davvero neanche avuto la possibilità di rovinare tutto perché non ce n’è stato il tempo! Che si sia seccata o non gli importi intrattenere un’amicizia epistolare troppo vecchio stampo nell’epoca telematica? Che abbia altro e di meglio da fare e non abbia motivo, bisogno, desiderio di conoscere e confidarsi o amicarsi con qualcuno come me? Che questa rarità pregiata di una persone coetanea e affine sia una rarità pregiata solo nel deserto sahariano delle mie amicizia? Che la mia prematura esplosione di affetto e ingiustificata necessità di spalancare le voragini di parole che mi tengo dentro perché nessuno può capire o vuole ascoltare, sia appunto, solo mia e non intercambiata?
Domande retoriche perché è certamente così. Mi ritrovo quasi a sperarlo per non dover prendere in considerazione l’oscura possibilità che possa esserle successo qualcosa di cui mai saprò niente o anche solo di dover considerare altre motivazioni. Non c’ho voglia di lambiccarmi per cercare di capire cosa in me non va al punto da farmi “abbandonare” (anche se visto la nostra amicizia ancora solo precaria, non è questo il suo caso) da tutti. Meglio sapere che sono sola per queste ragioni per quanto orrendo sia farci i conti quotidianamente, e buonanotte.

Quindi, vede, cara la mia dottoressa, potrei anche confidarmi e chiedere aiuto quando per esempio sono oppressa all’università e non riesco a dare gli esami e fuggo via alla chetichella senza affrontarli. O in altre occasioni. Ma ad ascoltarmi ci sarebbe solo il posto vuoto accanto a me, il finestrino dell’autobus con il mio riflesso sardonico, il muffin al mirtillo spiluccato solo dalle mie dita mentre rappresento il mio eterno soliloquio, sotto il cielo novembrino sfumato di cobalto, sopra lamine d’oro in foglie caduche.

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