mercoledì 10 ottobre 2012

La piacevole droga del capirsi


 Gentile signora(e), 
dal momento della nostra straordinaria conversazione, non ho pensato a null'altro. Non mi è stato dato di frequente come poeta, né forse dato di frequente a esseri umani, di incontrare un'affinità così immediata unita a un'intelligenza tanto arguta. Scrivo col senso dell'impellente necessità di continuare la nostra intera conversazione, e d'impulso, mosso dall'impressione che voi siate rimastao colpita(o) quanto me dalla nostra staordinaria  Io sento so con una certezza che non può esser frutto di follia o illusione, che voi e io dobbiamo parlare ancora.
 Non posso far a meno di sentire, anche se forse non è che un'illusione indotta dalla piacevole droga del capirsi, che anche voi dovete condividere la mia impazienza, che un'ulteriore conversazione sarebbe reciprocamente profittevole, che ci dobbiamo incontrare. Non posso non penso di potermi sbagliare nel credere che il nostro incontro sia stato interessante anche per voi, e che per quanto possiate tenere alla vostra solitudine, mi è lecito sperare che sia possibile indurvi a variare i vostri giorni quieti con un intrattenimento informale.
Sono certo(a) che comprenderete

- Possession -



domenica 2 settembre 2012

Quel che quattro lettere e una mente in fiamme possono fare

Tuuu ---- Tuuu ---- Tuuuu
Chi cazzo l'ha inventato il suono del telefono, quello lamentoso allusivo selvaggio, il  "Tuuuu" che precede la risposta. O la mancata risposta. Chiunque sia stato aveva un torbido sense of humor.
E Melisa doveva credere che fosse un caso che cablasse il suono del pronome "tu"? Decine, centinaia di suoni e quello era uno straziante "tu".
No, Melisa non ci aveva mai creduto al caso. Qualche cazzone aveva modulato il suono della connessione telefonica affinchè l'attesa della tua risposta simulasse l'ululato affranto del richiamo. Della richiesta di te.
E ogni "Tuuu" nell'attesa della tua riposta era un tormento.
Rispondi rispondi, TU rispondi, tu tu tu tu tuuu....
Sì, chiunque fosse doveva averlo modulato sull'urlo silente che straziava la gola di Melisa. Proprio il suo, non c'era dubbio.
Ogni "tu" dal cellulare si riverberava nell'orecchio di Melisa con lasciva lentezza, la durata sanguinolenta che occorre per imprimere un graffio sul cuore.
Silenzio.
E riprendeva, fino al rumore di plastica di una cornetta che si alza e di un respiro perso per sempre.



domenica 26 agosto 2012

Scorci

"E se invece fossi una dea, ma non sai di esserlo?"
"Se riuscissi a suonare come i Rolling Stones e a cantare come Barbra Streisand, sarei una dea di sicuro"
"Secondo me sei una dea, è solo che ti serve che arrivi un dio per dirtelo"
"E come ci capita un dio qua?"
"Chiamalo"
"Prego malissimo"
"La preghiera non attira dei, ma allocchi. Devi rabbuiarti. Magari fatti venire qualche bel tormento e vedi ti trova subito subito. Ce l'hai un bel tormento?"
"Ma certo! Non sia mai che ci facciamo mancare i tormenti qui! Tutto il resto manca, ma i tormenti..."
"Perfetto. Vedrai che arriva. Un dio non può resistere a una donna con un bel tormento".



lunedì 20 agosto 2012

Nel profondo delle viscere di Ana












 Dalla prima all’ultima riga la protagonista, tale Ana Steele, ha il suo bel daffare nel raggiungere i profondi recessi di  psiche, cuore, culo (nel libro indicato con “là”), anfratti vaginali (nel libro altrimenti detti “lì”), anima, viscere, budellame vario. Alla fine di tutto quel fremere/sciogliere/tremare/colpire in quel popò di profondo, ne esci con le viscere belle che squagliate e non ti sogni in alcun modo di tacciare nuovamente il libro di superficialità.
Ma siccome io non sono così profonda come Ana Steele, lascio che sia la sua voce a fornire un assaggio:

       "...e, nel profondo, la masochista che è in me vuole vederlo."
      "Quest'uomo mi rivuole, e nel profondo della mia anima sboccia lentamente una gioia dolce.."
      "Nel profondo del mio cuore si risveglia la gioia.."(sigh)
      "..e nel profondo delle mie viscere so chi è." (è risaputo che le viscere sanno)
      "..e i muscoli nel profondo del mio ventre rispondono."
      "..e nel profondo della psiche, la mia dea interiore si sveglia…”
      "La sua carezza si propaga dentro di me, nel profondo..." (ri-sigh)
      "...e dentro, nel profondo, mi sento svuotata." (pure le viscere sono scappate)
      “…è complesso e difficile, ma nel profondo so che voglio lasciarlo…”
      “E mi colpisce nel profondo la consapevolezza…”
      “Una dolce trepidazione, calda e pesante nel profondo del mio ventre.” (mi chiedo quale parte del ventre è quella profonda?)
      “So, nel profondo di me stessa….”

E così via, meglio non sapere le cose che Ana sa nel profondo di sé stessa. Lasciamole lì quiete quiete.
Una mozione la merita, invece, la sua “dea interiore” a cui ella fa perenne riferimento per indicare i propri stati d’animo. Funziona così: qualora Ana abbia un turbamento o un pensiero - il che capita spesso perché lei è intelligentissima e, chettelodicoafare, profonda -, non lo esprime mai direttamente ma sempre tramite questa smaccata copia di sé stessa che, a seconda dei casi, ancheggia sui tacchi, fa capriole, prega, balla il tango o fa yoga, e per il resto del tempo se ne va a zonzo tra i suoi organi vitali.
Non è meglio precisato perché trattasi di una “dea” visto che non ha nessun atteggiamento divino, ma io che ne posso capire? Sono cose che stanno “nel profondo” e io il profondo non ce l’ho. Quindi lascio di nuovo parlare Ana:

            ”La mia dea interiore è in ginocchio, con le mani giunte in segno di supplica.” (è una dea e quindi prega, ovvio)
             La mia dea interiore stringe gli occhi a fessura e mi guarda pensierosa.”(ahi ahi)
             La mia dea interiore annuisce con vigore, concordando con me.” (l’abbiamo scampata)
             La mia dea interiore si fa attenta e prende nota.” (nelle viscere hanno i taccuini)
             La mia dea interiore ride forte, con la testa buttata all’indietro e io cado in ginocchio davanti a lui” (l’ha sbilanciata? No, sinceramente, non ho capito)
             La mia dea interiore sta facendo un triplo volteggio sulle parallele asimmetriche.” (sono cose che si fanno “nel profondo”)
             La mia dea interiore è al massimo della libidine”
            La mia dea interiore ha trovato la voce e sta urlando” (non sappiamo quando l’aveva persa, un piccolo giallo, lì tra le viscere)
          La mia dea interiore si sveglia di soprassalto tutta scarmigliata, come se avesse appena concluso una serata rovente”
          La mia dea interiore sta saltellando come una bambina di cinque anni”
          “E’ come se avesse una linea erotica diretta con la mia dea interiore, il che, ovviamente, è vero” (questo non lo commento)
          La mia dea interiore si produce in un veloce arabesque.”
          La mia dea interiore annuisce con vigore e mi dà il gomito.” (neanche questo commento)
          La mia dea interiore batte i piedi e fa il broncio, con le braccia conserte come una bambina arrabbiata”
         La mia dea interiore si mette una rosa tra i denti e inizia a ballare il tango”
         La mia dea interiore mi fa il broncio provocatoriamente.” (il broncio lo fa di continuo ma qui lo fa “provocatoriamente”)
         La mia dea interiore è avvolta in un boa di piume rosa e diamanti e cammina impettita con un paio di scarpe da sgualdrina.” (notare i dettagli della descrizione)
         La mia dea interiore getta la testa all’indietro in estasi e lui viene, urlando nella mia bocca.” (urlando nella sua bocca…pensa come rimbomba tutto, lì, nel profondo).

Non le posso scrivere tutte perché dovrei trascrivere mezzo libro.
Ora, la ragione principale per cui mi sono messa a leggere tutte queste 90mila sfumature di cagate è che dicevasi esserci non troppi velati riferimenti a scene di illibato bondage e siccome della materia non ne so molto, ero relativamente stuzzicata dall’idea di capirne qualcosa (anche se probabilmente gli harmony porno sulla materia non mancano, ma non mi è mai passato per la testa di perderci tempo finora, oh che ve devo dì?!).
Il problema è che di bondage non ce n’è neanche a pagarlo oro! Almeno nel primo libro c’è un crescendo di attesa che ti spinge ad andare avanti, qui neanche quello: Mr. cinquanta sfumature di nero è diventato un pupazzetto rosa che passa il tempo a dire all’amata quanto è perfetta e quanto la desidera e quanto la ama e bla e bla e bla bla bla. E io che mi aspettavo del sano sesso malato, mi sono dovuta sorbire seicento pagine di menate e accontentarmi al massimo di stantie scene di sesso normale, con gli amplessi “nel profondo” di lei e lui che puntualmente urla il suo nome durante l'orgasmo! Ma vi pare?

Il resto del romanzo:
  • La “bella” storia d’amore non è né bella né storia perché i due si vedono e si innamorano senza un perché;
  • Lui che è “la quintessenza della bellezza” più candida, ovviamente;
  • Lei che si ripete perché quel dio greco è suo visto che lei è una cessa;
  • Lui che le dice quanto è meravigliosa e quanto la ama;
  • Lui che non è più bondage perché Ana ha compiuto il miracolo, ha salvato il peccatore.
Ovvero cliché per imbonire gli allocchi e nulla tensione sessuale, ce n’è di più in Harry Potter, non scherzo.
Sarà scappata via, insieme alle viscere...

             
     

sabato 11 agosto 2012

Sì. E quindi?




Vi diranno:
"E' il capolavoro della letteratura chicana!"
"E' uno straordinario intreccio di storie e favole e genti e altre storie dai profumi messicani!!"
"E' l'America che si tinge di Messico per tornare a essere America ma disamericanizzata!!!"
....e così via, con un incremento del numero dei punti esclamativi proporzionato alla grandeur della cazzata di turno.

Non che siano cazzate del tutto campate in aria. Hanno una loro raison d’etre, perché fanno effettivamente parte degli intenti della scrittrice, pur restando cazzate. C’è infatti la spiacevole sensazione che il romanzo sia solo una serie di intenti letterari e che questi restino spiacevolmente scissi dalla trama o al contrario, che vi siano forzati dentro regalando una sonnolenta sensazione di pacchianeria.

L'intento base della Cisneros è quello del romanzo di formazione, in cui le vite dei numerosi personaggi della famiglia Reyes s'intrecciano ineluttabilmente, come la trama di un rebozo messicano, lo scialle intrecciato color caramello che dà il nome al suggestivo titolo.¹
Il problema è che più che numerosi personaggi ci sono numerosi nomi, la cui storia di ognuno risulta vaga, ripetuta, inutile, abbozzata e meno male perché tanto non succede niente che non sia già successo al personaggio principale o che sia degno di essere narrato. Più che una costellazione di storie, Caramelo è uno sbrodolamento di parole ripetute e imbellettate, al punto che l’intreccio di “pure storie” (puro cuento) pare sia lì solo per dare un senso a qualche bella frase o bella filosofia del tipo:
“Può il pianto aiutare a far passare il dolore? Un pochino, ma non sempre”;
“La moglie non capiva niente di arte, di come creando qualcosa ci si salva dalla morte”;
“Come in tutte le guerre a prosperare non sono le persone migliori, ma quelle più furbe e dure di cuore”.


L’intento secondario è nella falsariga del genere letterario sudamericano²: grande storia di una grande famiglia che si dirama nei secoli, tratteggiata dagli sconvolgimenti storico-politici, arricchita dalla costellazione delle metastorie dei numerosi parentes che si susseguono negli anni, intrisa di quel realismo magico – emblema della tradizione sudamericana- che ammanta le esistenze di magia e i destini di misticismo.
Alla Marquez-sbarra-Isabelle Allende, per intenderci. Scrittori a cui la Cisneros è stata gratuitamente (è il caso di dirlo) paragonata, ma con i quali, secondo il mio modesto parere e almeno per quanto riguarda questo portentoso romanzo, ci azzecca come i Beatles con i Modà. Se non per intenti, ripeto: il realismo magico non ammanta la storia, è richiamato all’attenzione ogni tanto in modo tremendamente forzato e sciatto, per la serie “ehi non dimenticatevi di me, ci sono anche io!”. Per non parlare del registro di narrazione che improvvisamente cambia in un discorso diretto con un fantasma e fai una fatica boia a capire che succede e di chi sia quella voce. In altri casi cambia il punto di vista e solo il grassetto te lo rivela, perché l’apporto di questa new entry alla storia, è assolutamente inscindibile dal resto. Il che è sempre sinonimo di sciatteria letteraria e scrittura autoreferenziale.

Terzo intento la mica tanto celata ambizione a roman à clef, (romanzo a chiave) e anche in questo caso non si vede mica il tentativo di emulare Marquez e la Allende, eh!
Ma mentre nel loro caso ("Cent’anni di solitudine" e "La casa degli spiriti") la scelta si risolve nei fini sensati di denuncia al sistema politico, propaganda alla resistenza comunista, rivelazione degli orrori dei regimi totalitari o delle vicissitudini di un personaggio realmente esistito, in Caramelo è solo la biografia dell’autrice stessa a essere celata dalla trama. Anche in questo caso è l’intento che viene prima ma non si risolve. Non sarebbe il primo romanzo in cui la protagonista è l’alter ego dell’autrice. La spiacevole sensazione è che l’autrice, dal suo bello sgabello americano, abbia cercato di romanzare la sua vita sparando una serie di clichè sui messicani, pur restando ben piantata sul suolo americano, lavorando, mangiando e vivendo in America. Dei messicani ne esce nient’altro che una serie di macchiette smaccate e schizofreniche, cha sbraitano e si infilzano le spalle a vicenda tra un momentaneo festaggiamento e l’altro.

Ah e mangiano.
Perché non appena può, il romanzo diventa un elenco di dolci e varie specialità gastronomiche messicane. Decine e decine di succulenti frutti, caramelle, pietanze a base di cacao e altri ingredienti a me completamente sconosciuti posti in serie, uno dopo l’altro. E visto che annoia da cima a fondo, c’è di buono che almeno ti fa venire fame. L’unica cosa che ricordo volentieri è l’immagine mentale di questi dolci a me sconosciuti e del loro probabile gusto.
Se poi proprio volete trovare una nota positiva, cercatela nella scrittura, perché nonostante in 460 pagine non ci sia scritto niente degno di essere letto, almeno è scritto dignitosamente, in maniera fluida. Lo stile non è portentoso e metafore e alambicchi li trovi in ogni pagina. Ma considerato che non dice niente, lo dice in maniera straordinariamente scorrevole.
L'intreccio di storie tanto millantato è un susseguirsi di parole che non trasmette altro se non il senso a se stente di queste. E' un intreccio che non si realizza neanche sulla carta e tu prendi atto di queste parole, ma non ti lasciano altro. Finito il libro non puoi fare altro che star lì a pensarci un po' - che magari sei tu il problema e qualcosa ti è sfuggito -, ma la conclusione alla quale giungerai sarà una soltanto:
"Sì.
E quindi?".



¹ Suggestivo titolo che in realtà sta lì solo in quanto, appunto, suggestivo, perchè c'entra nella storia come i cavoli a merenda. Se escludete il colore del rebozo alla cui trama di fili colorati viene paragonato l'intreccio dei personaggi, non trova più spazio sulla ribalta della scena. Ma anche in questo caso è ambiguo.

² Che poi a essere onesti il Messico è parte dell'America centrale e non Latina e solo una parte di esso appartiene al territorio americano. E' letteratura chicana quella della Ciseneros, che molti l'annoverino tra quella sudamericana, è solo per i loro presunti punti stilistici comuni. E per l'analogia storica e culturale nonchè la vicinanza delle regioni. Questo solo per doveroso chiarimento geo-culturale: visto che mi sono impegnata tanto a scrivere una recensione che nessuno leggerà, esageriamo!

lunedì 6 agosto 2012

Credi che l'alba sia lì per te?


 "Ed ecco arriva l'alba so che è qui per me
Meraviglioso come a volte ciò che sembra non è
Fottendosi da se, fottendomi da me
Per quello che non c'è"
- Afterhours, Quello che non c'è



Credete davvero che quello che siete sia merito vostro?
La capacità di costruire un rapporto sentimentale, di avere successo negli studi, di costruire una carriera, di mettere al mondo dei figli, di viaggiare e vivere avventure straaaaafighe, di avere avuto mille amori, di avere centinaia di amici, di vincere medaglie alle olimpiadi, di avere talento musicale, di parlare 7 lingue, di giocare bene a pinball, di essere amati, di essere modelli di Dolce&Gabbana, di avere una dannata vita e di riuscire a viverla da essere giusto e felicissimo di essere al mondo?
Davvero ci credete? Credete che sia tutto merito della vostra sudatissima fatica? Del vostro essere speciali? Davvero credete che l'alba è lì per voi?
Allora siete dei patetici, deprecabili illusi.
Voi siete solo quello che i vostri genitori vi hanno fatto diventare.
Non c'è merito (e di conseguenza demerito) in quel siete.
Siete la lobotomia a cui la vostra storia vi ha sottoposto.
Siete il risultato dellla vostra fortuna.
O sfortuna.


domenica 5 agosto 2012

La pelle che sa di mare.

E' che tutto sa di mare.
Io sto qui a casa a buttar giù per iscritto le cazzate che ho in testa perchè da qualche parte le devo mettere altrimenti mi spappolano le cervella, il fegato e la milza, e sorseggio succo di mela ghiacciato, e anche il succo di mela ghiacciato sa di mare.
Posso capire l'odore del mare nell'aria, posso anche accettare che ne siano impregnati vestiti e alberi, e che sia nei miei capelli il mare, e nelle orecchie e anche quando è nelle orecchiè profuma di mare.
Ma perchè l'odore del mare è anche nel succo di mela? Il succo di mela dovrebbe sapere di mela. Se non per altro quantomeno per devozione semantica. E invece no, il mio succo di mela nel bicchiere dal design chiccoso e il profilo quasi voyeur, di vetro soffiato azzurro, ricamato e appannato dal ghiaccio, con le gocce che ne seguono le curve come perle sensuali mentre il succo ambrato riluce invitante tra i cubetti tinnanti, come nel più cazzuto spot sulle bevande estive mai ideato...
Eppure no. La perfezione stilistica non garantisce perfezioni gustative e io bevo mare e non mela.

La mia stanza sa di mare, il frozen yogurt è al gusto di mare, trottano due cavalli nel prato difronte casa, ma la terra secca che alzano è solo mare.
Annuso la mia spalla e anche la mia pelle sa di mare. Se tu ora fossi qui e mi mordessi, morderesti mare.  Sono fatta di mare, come la Sirenetta, scioltasi in spuma sulla battigia, per aver osato amare il suo riccio.
Di mare, eh.



La Pegola

E' che alla fine te ne rendi conto e basta. E' un'illuminazione. Un'altra. Una sequenza di barbagli che ti fanno sdoganare la mandibola in repentini ripetuti reiterati "Ohhhh" di sbalordimento. Una continua, fottuta illuminazione. Ne esci più cieco di prima, ma sei comunque illuminato ed è questo che conta.
L'illuminazione precipua che questo post tratta, arriva dalla fonte più inaspettata, ovvero una Pegola in vena di confidenze. Ora, prima di andare avanti mi tocca spiegare cos' è una "Pegola" a quei pochi fortunati che non ne hanno mai beccata una sul loro cammino benedetto dagli angeli.

Per farla breve, trattasi dell'essere insistente per eccellenza, pedante, promiscuo e logorroico, di sesso femminile per lo più, diffuso in tutte le lande - quelle desertiche e impervie comprese - del mondo. La Pegola potrete facilmente riconoscerla, per la sua forte tendenza a parlare di se stessa, di lei e lei soltanto, più qualche altro fronzolo o conoscente che le orbita intorno, schiacciato sempre e comunque dal suo impenitente giudizio. Ma la sua caratteristica precipua, consiste nel sottoporre se stessa, le sue imprese, le sue avventure e disavventure, i suoi amori, i suoi odi, le sue passioni, il suo lavoro, quello che mangia, beve, sniffa, insomma tutto, a una continua, perenne esagerata ridondante enunciazione. Ordunque la Pegola non sarà mai solo sfigata, ma la regina delle sfigate; non sarà mai bella, ma la campionessa delle belle; non sarà mai amica se non la più edulcorata tra tutte...insomma avete capito.
Le Pegole solitamente chiacchierano un sacco, perchè devono avvertire tutti delle loro grazie/disgrazie decorandole nel modo più ampolloso possibile e giusto qualche settimana fa mi sono sottoposta a questa tortura medioevale di sparacazzate lancinante.Volutamente. Perchè tutto il mondo mi odia ed è obbligatorio che io spurghi i miei peccati sottoponendomi alle peggio torture se voglio avere una possibilità di redenzione.
La mia Pegala ha dunque passato due ore a narrarmi delle sue vicissitudini dalla pre-adolescenza a oggi: i guai combinati con i suoi buffi amichetti bla bla, i viaggi sotto cieli stinti blablablero, la sua carriera difficile e piena di ostacoli che ha brillantemente superato, i suoi balletti e recitelle varie, le sue capacità e incapacità perchè le Pegole non stanno mai a vantarsi e basta. Ciò che loro vogliono è far vedere che esistono e hanno una vita anche se è piena di grane! Basta che tu le consoca tutte le grane e sappia quanto sono innegabilemnte fighe, codeste Pegole, anche nelle grane.



E poi ha cominciato con la solita lagna dell'avere figli che pare colpisca tutte le donne superati i 28 anni. In maniera particolare le Pegole ne fanno un'ossessione, qualcosa che va ottenuto e basta, un trofeo da poter spupazzare in giro per poter così ricamare qualche loro pegolata. Quindi, se conoscete qualcuna che superati i 25/26 anni ha cominciato a ragionare in funzione esclusiva di questo e buttar lì a ogni piè sospinto figli, uomini, ovuli, sperma, fertilità, menopausa  e che magari si è trovata un carciofo dopo aver scrutato col lanternino tra i papabili, se l'è sposato nel giro di qualche anno o sta per farlo con l'obettivo di farsi poi fecondare gli ovuli, allora è molto probabile che voi abbiate trovato la vostra Pegola personale.
Come lo so?
Delle 700 miliardi di parole strombazzate durante l'assedio pegolesco - di cui almeno 600 erano abbellimenti inutili e fuori tema - la metà riguardava la prospettiva materna. E' riuscita a ficcare la questione anche parlando di una partita di golf a cui aveva partecipato con comici esiti! (E sì, le Pegole hanno sempre una vena comica tra le loro virtù). Questo dimostra quanto le Pegole siano intelligenti: non fate l'errore di credere che siano stupide, anzi, se sono stupide non sono Pegole. Affinchè una sia Pegola deve essere intelligente altrimenti come riuscirebbe a sblaterare con la dovuta enunciazione di niente e renderlo un sacco di qualcosa?
La mia Pegola se l'è trovato recentemente il futuro fecondatore di ovuli, sta solo aspettando che i tempi siano maturi per convolare a giuste nozze e quindi, alla narrazione dell'avventuroso semitragico amplesso vicissitudinale giovanile, fa seguito la marea di aneddoti kitsch/snob/radical chic sulla sua attuale vita coniugale. Una goduria per le mie orecchie e i miei neuroni.
C'è di buono che:
  1. buona parte dei miei mali sono stata pagati e con gli interessi;
  2. ho avuto l'illuminazione di cui sopra, la quale illuminazione doveva essere il cuore del post, ma è stata spodestata dalla dissertazione sulle Pegole, perchè chiunque parli con le Pegole, non può far altro che parlare solo delle Pegole per almeno un mese, in quanto tutte le loro parole sagaci gli restano piantate in testa senza possibilità di essere estirpate repentinamente.
Quindi, dell'illuminazione non vi parlo e se al cristo in panne capitato qua resterà un groppo in gola per non poterla conoscere, e la sua vista sarà oscurata per sempre e questo lo porterà a farsi leader di una caccia alle Pegole con spiedi roventi e ricci di mare lanciati da ex campioni di tiro del giavellotto, sappiate che non era questo il mio obiettivo.
Sappiatelo.

mercoledì 1 agosto 2012

Il destino di Neve.

Neve era destinata a una vita diversa.
Ma il  Destino dette la colpa al Fato, il Fato accusò un inciampo del Caso, il Caso denunciò il Vento primordiale, il Vento spernacchiò il Cosmo per averlo intrappolato tra colline infuocate e il Cosmo se ne lavò le mani.  
Aveva altro a cui pensare che a un'inutile Neve.

Neve era destinata a cantare nel vento.
Ma nacque alle pendici di colline infuocate, un vento africano le bruciava i polmoni a ogni respiro. Le sue parole erano ghiaccio ed evaporavano subito nell'oro del cielo.  
Fu così che il Vento primordiale rubò la voce di Neve e nessuno udì mai le sue canzoni.

Neve era destinata a mangiare colori.
Ma il mare era infinito e le ingabbiava la vista in ridondante cobalto. Lei suggeva dal mondo la bellezza cangiante di trame diverse, di bianco di stelle di opali e cannella, per intingersi nelle mille sfumature del mondo.  
Fu così che il Vento primordiale rubò i colori di Neve e nessuno potè mai vedere le sue forme.

Neve era destinata a sbocciare tra i fiori.
Ma la terra bruciava e il grano dorato da solo spargeva il suo fiato. Lei aveva un afrore di prati e pervinche  appeso al suo collo per darlo all'inverno e stingerne il bianco.  
Fu così che il Vento primordiale rubò il profumo di Neve e nessuno la vide mai sbocciare in un fiore.

Neve era destinata a stringere il mondo.
Ma era bianca nel giallo e accecava i passanti. Lei aveva pelle di porcellana e cristallo e il suo ghiaccio bruciava chiunque toccasse.  
Fu così che il Vento primordiale rubò gli abbracci destinati a Neve e nessuno la prese per mano per parlarle di sogni.

Neve era destinata a baci di panna.
Ma niente passava che non le importasse, lei tutto coglieva e tutti sentiva. Ma senza la voce non urlava che al vuoto, e senza una forma correva da sola, e senza gli abbracci perdette i suoi sogni, e senza sbocciare ingoiò il suo amore.  
Fu così che il Vento primordiale soffiò la pietra sui baci di Neve e nessuno trovò le sue labbra di panna.

Neve era destinata a un amore di fiamma.
Ma la sua anima bruciava troppo perchè il ghiaccio non la sopisse. Era destinata a bere dal mondo e ridargli il suo tutto in amore. Ma sotto quel bianco nessuno vide l'amore che in fiamme si protendeva e piano la uccise bruciandole il cuore.  
Fu così che il Vento primordiale rubò l'amore di Neve e nessuno seppe quanto di questo poteva gioirne.





giovedì 26 luglio 2012

La staticità dei soffi previsti

Sai che succede quando conosco qualcuno?
Niente.
Nella stragrande, noiosissima, maggioranza dei casi, tutto permane in uno stato di normalità grigiastra, senza fremiti o scintille ad alterare la staticità del mondo. E non c'è niente di più palloso di un mondo statico.
Poi ci sono quelle volte... poche, flebili, secondarie al punto da risultare sorvolabili.
Sono come un soffio nell'uragano, indistinguibili dal resto. Non fosse che hanno la capacità di sconvolgermi come mille uragani non potrebbero mai fare.

Quando conosco qualcuno, allora, succede che mordo via un pezzo di me e lo do a lui. Brucia, ma non riesco a non farlo. Gli do me di parole, di pensieri, me di canzoni e di progetti, di concerti visti e da vedere, di storie scritte e da scrivere. Me di cioccolata e lacrime. Di demoni e sorrisi timidi. Me di momenti con lui.
Non succede mai che io resti scissa da lui, senza mordere a mia volta una parte di lui e amalgamarla alla parte di me. Come bile, squarcia il tessuto di un mondo che ora trema, freme. La staticità bigotta e mortifera del mondo sembra esser finalmente persa, per sempre.
Sembra.

Finchè la staticità non esige il suo salato scotto e lui se ne torna a riempire lo sguarcio di grigio che ha lasciato nel tessuto del mondo. A me resta solo l'impronta del fremito, un ricordo troppo scialbo per sovrastare il rinnovato grigiore.
Ecco qual è il mio dannato errore. Potessi tenermi distante, potessi non fondermi, potessi non fidarmi del suo tremito, allora tutto tornerebbe normale e quando lui si ritira, io potrei ricucirmi alla perfezione, senza lasciar squarci.
Io per lui sono solo soffio tra i tanti che compongono il suo uragano. Getta dentro ognuno di essi  la sua testa e respira a caso, senza distinguerne le diverse fragranze. Un soffio vale l'altro, è così che la sua trama può restare sempre statica e grigia, pur aspirando un po' di tutti i soffi. Elimana il soffio che turbina troppo, la staticità è nel grigiore dei soffi previsti.

Ecco cosa devo imparare a fare. Non dare me, non assaporare lui, ma tenere a portata di mano qualche soffio stantio, in cui gettare la testa e respirare, per ossigenare i polmoni e sopravvivere. Senza il gusto di un afrore dolce, senza il tremito di uno squarcio anomalo.
Come fa lui...


martedì 24 luglio 2012

Rainy

E ho ripreso a scrivere.
A scrivere la tesi, a scrivere il mio racconto, a riempire la moleskine di pensieri scuciti dal vento, a scrivere su questo stupido blog. A scrivere niente perchè sono le dita e guidarmi e a battare da sole, gli occhi non toccano lo schermo e non rileggerò niente. Vomito solo parole, se tutto esce sotto forma di parole, forse non dovrò vomitare niente in altre forme.
E' arrivata la pioggia col cielo plumbeo a sparger grigio avunque e io respiro l'odore dell'asfalto bagnato, la miglior cura a qualsiasi forma di asma congenito o psichico, solo che ancora nessuno lo sa tranne me.
E ho ripreso a scrivere...


lunedì 23 luglio 2012

Ansiogenia da esami

Cosa fare della propria vita quando si finiscono glie sami universitari? basterà la tesi a colmare l'ansiogeno vuoto che questi lasciano? O è un' ansia troppo remissiva quella della tesi, per competere con quella degli esami, più rapace, onnicomprensiva e salace con tutto il pot pourri che si porta appresso di inadeguatezze e vuoti cosmici?
Non lo so ancora.
Mo' ci provo a vivere qualche giorno senza ansia da esami universitari e poi, poi vi dico....

venerdì 1 giugno 2012

Tredici suicidi

Frances e Courtney, Sarò al tuo altare altare. Per favore Courtney, tira avanti, per Frances, per la sua vita perché la sua vita sia molto più felice senza di me. TI AMO. TI AMO.
Kurt Cobain, musicista 8 Aprile 1994

- ”Arrivederci a tutti!”
Le ultime parole saltando dalla nave da crociera Orizaba (il suo corpo non fu mai più ritrovato)
Hart Crane, poeta, 27 April 1932

- “Ai miei amici. Il mio lavoro è fatto. Perché aspettare?
George Eastman, inventore, 14 March 14, 1932

- Quando tutto l’utile è esaurito, quando si è sicuri di una morte inevitabile e imminente, è il più evidente diritto umano scegliere una morte rapida e semplice al posto di una lenta e dolorosa.
Charlotte Perkins Gilman, scrittrice, 17 agosto 1935

- ” E ora, in linea con la politica di Canale 40 di portarvi sempre le ultime notizie sanguinose a colori, state per assistere a un’altra esclusiva, un tentativo di suicidio..
Chris Chubbuck, che è riuscito nel tentativo il 15 luglio del 1974

- Non preoccuparti, non è carica
Terry Kath, musicista rock, morto il 23 gennaio 1978 mentre giocava alla roulette russa

- Hanno provato a uccidermi, li ho preceduti!
Vachel Lindsay, poeta, 4 Dicembre 1931

- Deve finire. Non c’è rimasta speranza. Sarà in pace. Nessuno ha niente a che fare con questo. La mia decisione è definitiva.
Freddie Prinze, comico, 29 gennaio 1977

- Caro mondo, ti sto lasciando perché sono annoiato. Mi sento di aver vissuto abbastanza. Ti sto lasciando senza preoccupazione in questa dolce vasca. Buona fortuna.
George Sanders, attore inglese, 25 aprile 1972

- ”Il campionato è finito.” Niente più giochi, niente più bombe. Niente più comminate. Niente più divertimento. Niente più nuoto. 67, sono 17 anni oltre i 50,. 17 di più di quelli di cui avevo bisogno e volevo. Noioso. Sono sempre stronzo. Non diverto nessuno. 67. Stai diventando avido. Recita la tua vecchiaia. Questo non farà male.
Hunter S. Thompson, author, 20 febbraio 2005

- A Harald, possa Dio perdonarti e perdonarmi, ma preferisco togliermi la vita insieme al nostro bambino, prima di mostrarlo con vergogna o di ucciderlo, Lue.
~~ Lupe Velez, attrice, 23 dicembre 1944

- Non credo che le persone debbano togliersi la vita senza profonda e attenta riflessione durata un lungo periodo di tempo.
Wendy O. Williams, artista punk rock , 6 aprile 1998

- Sono sicura che diventerà matta ancora. Sento che non possiamo attraversare un atro di questi brutti periodi. E che non mi riprenderi questa volta. Comincio a sentire le voci.
Virginia Woolf, scrittrice 28 marzo 1941

sabato 12 maggio 2012

My memory in that book

Centellinare le parole di un libro per consentire al cristallo di un ricordo di estendersi, resistere oltre ogni sua realistica prospettiva di vita.


mercoledì 2 maggio 2012

Patti Smith si è fermata a Eboli.

La totale eliminazione di ogni briciola di te dal mondo, la può comprendere solo chi vive nell contingenza perpetua. Al pari dei fiori.
E chi attraversa Eboli, dove Cristo si fermò e Patti Smith non è mai arrivata. Cristo va dove va Patti Smith e Patti Smith è Cristo.
"Le vedi le orme? Lì, sulla spiaggia. Sono le mie".
Sono solo orme.
Non chitarre alla vaniglia.
Non baci stonati.
Non occhi di tempesta.
Il mondo non ti vede e te lo dice per telefono.


sabato 28 aprile 2012

Fannie Flagg - emerita scrittrice

"Stai sempre a leggere cose pesanti. Ma leggi qualcosa di sbarazzino e leggero qualche volta va'!".
Queste - delicatissime - parole mi hanno spinta a variare le mie abituali scelte letterarie e a leggere questo libro. Mi erano state decantate lodi e pregi di Fannie Flagg, "fantomatica dea della parola, capace di creare ridenti ambientazioni alla Mulino Bianco, con pagine magicamente odorose di cappuccino e brioche all'uvetta, storie rette e personaggi de-li-zi-o-si, al limite tra sostanza di azioni e levità di spirito".
E io, piena di dignitosa abnegazione: "Mah, che le mie velleità filo-classiche mi tarpino in un intellettualismo pregiudizievole, il male di ogni lettore? Suvvia, tentar non nuoce".

Così mi trovo a seguire le roboanti (proprio) avventure di Dena, la protagonista di questa eccelsa tragicommedia (ebbene sì, anche nel Mulino Bianco c'è del tragico): una superbellissima, superbiondona, superintelligente, supergiornalista superfamosa e (che te lo dico a fare) superingambissima! Ma non fatevi ingannare: ha anche uno spirito profondo, inquieto. Lei... che passa il suo tempo a far cose straordinarie ahò, mica scherziamo qui! La nostra protagonista è fuori dai canoni stantii della normalità, è brillante, intraprendente, mai banale, in una parola è sorprendente. Trascriviamone un rappresentativo spaccato:
"Da bambina passava ore a guardare la gente attraverso i vetri della finestra. Lo faceva dagli autobus, dai treni in corsa: guardava la gente dentro le case e le sembravano tutti felici e contenti. Le sarebbe piaciuto entrare anche lei in una di quelle case, ma non sapeva come fare."
Uau. No, dico: U-A-U.Cosa c'è al mondo di meno banale?! Sapreste dirmelo? No, scommetto di no.

Abbiamo poi i parenti di Dena, che con la storia non ci azzeccano una mazzafionda, ma la loro presenza giustifica il paese del Mulino Bianco, con la casetta profumosa e linda e il giardinetto e l'amichetto vicino e tuuuuuuutto l'amore del mondo convogliato lì. A queste persone capitano cose prive di qualsivoglia senso in questa storia e in qualsiasi altra storia concepita da essere pensante. In questo mondo e in qualsiasi altro. Ovvero, non capita loro assolutamente niente. A parte che mangiano la marmellata di Kiwi.
Eh sì, ma che vi aspettavate? Queste sono le atmosfere magiche della Flagg! Tutti impeccabilmente bonari e sorridenti a mangiare marmellata di kiwi. Puoi prenderli a padellate sul grugno e non alzerebbero mano contro di te se non per porgerti calorosamente l'altra guancia. Chi non vorrebbe vivere a Elmwood Springs?! Potrebbero sembrare degli psicolabili, ma no no no, non Fannie Flagg, non nel regno del Mulino Bianco!

Altro personaggio fondamentale - senza di lui la trama ne risentirebbe troppo, sarebbe un altro libro, mamma mia no! meno male che esiste!- lo psicanalista Gerry, che si innamora pazzamente e irrimediabilmente della nostra protagonista nonostante non l'abbia frequentata mai. Se non durante le sedute di psicanalisi, in quanto Dena è una sua cliente.
Sì sì, esattamente: è un transfert al contrario, quello che abbiamo qui. Non è geniale?! Un colpo di scena dalla nostra Fannie! Chi se l'aspettava? Ah, io no di certo. Chi poteva immaginarsi che un uomo mediamente intelligente e NON MALATO DI MENTE, potesse provare vero e sacrosanto amore per una sua paziente, senza neanche esserci uscito insieme eh, (non scherziamo! Lui è puro non fa queste cose!) e dichiararsi, per telefono, per poi restare invaghito di lei per anni anni anni senza che la veda neanche più. E perfavore, voi, che state sempre a cercare un viluppo sensato e una storia d'amore intelligente! Questa è magia. M-A-G-I-A.
Ma vediamo il momento agognato del coronamento dell'amore vero. Sesso, per intenderci. E vediamo come la nostra grandiosa scrittrice, maga delle atmosfere pennellate, fa la sua magia. Shh. Suspance:
"La mattina dopo, Dena si svegliò per prima e lo vide ancora addormentato col suo pigiama azzurro. Non avrebbe mai capito come, ma un attimo dopo stavano facendo l'amore, e per essere la prima volta fu davvero soprendente. Non si aspettava che lui fosse così appassionato, e neppure di lasciarsi andare fino a quel punto. Da quanti anni non andava a letto con qualcuno da completamente sobria? Fu un'esperienza nuova e molto piacevole."
Questo è scrivere signori: Dena non si aspettava che Gerry fosse appassionato. E neanche noi! Grazie Fannie, grazie per avercelo descritto così limpidamente. E per averci intrigato con tanto portentoso desiderio: "per Dena fu un'esperienza molto piacevole". E che vuoi di più dalla vita? "un'esperienza molto piacevole", mica bau bau miccio micio. Immagino tutte le donne a questo punto della storia, rodersi il fegato per non essere nei panni di Dena, tra le braccia di tale portento di passione.

Ma Gerry? Dopo anni a sognare questo momento? Cosa pensa il focoso Gerry? Diccelo, Fannie:
"Gerry, che immaginava e sognava quei momenti da mesi, ne fu altrettanto meravigliato: la realtà aveva superato di gran lunga le sue fantasie... e non erano fantasie da poco".
Basta. Stop. Fine. La sottigliezza della Flagg, non ha paragoni: poteva descriverci quello che è successo tra le lenzuola, ma che intollerabile banalità! Che caduta di stile per lei e le sue magiche ambientazioni! Inoltre, se neanche Gerry poteva immagirnarselo visto che "la realtà aveva superato di gran lunga l'immaginazione" (di gran lunga, prego nota bene), figurarsi una povera scrittrice che si è ritrovata lì per sbaglio!
Ehhhh Gerry Gerry, sei un mascalzoncello! Anche le tue fantasie "non da poco", noi esseri spartani possiamo solo sognarcele, non sia mai che Fannie Flagg, emerita scrittrice, si azzardi a fare una sola volta nel libro, qualcosa che gli emeriti scrittori solitamente fanno: scrivere quello di cui parla. Che poi, in 500 pagine non parli assolutamente di niente, è un altro discorso.

Morale della favola: voi vi tenete i vostri "libri leggeri", le storielle sciape, Fannie Flagg - emerita scrittrice e il suo paese di psicotici, che io mi tengo i miei classici e i miei mattonazzi pesanti e incomprensibili ai più.

E siete pregati di non frantumare più la mia gioia di leggere, propinandomi codeste corbellerie solo perchè siete affetti da abulia sentimentale.
Grazie.

domenica 22 aprile 2012

La famiglia Smargiassi

Domenica mattina. Una tizia a caso si gusta il suo cappuccino superiperschiumoseggiante svirgolando tra le conversazioni-tipo facebookiane.
Così. Giusto perchè la tizia a caso ha bisogno di ringalluzzirsi un po', di ricollocare le cose del mondo nella casistica che spetta loro di diritto. Ultimamente se ne sono andate a zonzo per i fattacci loro, le cose del mondo, non che non l'abbiano sempre fatto, ma il troppo stroppia. Serve ordine. E gli inquietanti abitanti del suo ridente paesello, si prestano ottimamente alla bisogna. Le loro conversazioni - accomunate per pensieri brillanti, tormentati, profondi- in particolare, comportano un doppio, combattuto esito nell'animo della tizia a caso: vergogna e disperazione per lo stato in cui versano le ultime generazioni italiane; sentita riconoscenza per la loro illimitata stupidità che compensa le sue carenze e le rende quantomeno accettabili. Con buona pace del suo ego e del suo senso di perenne inadeguatezza.
La tizia a caso non poteva esimersi dal lasciare in ombra conversazioni capaci di scatenare esiti tanto potenti. Quindi la riporta. Opportunamente truccata. Ma ricordate: lei è solo il mezzo, l'ambascitor che non porta pena. Il resto è tutta raffinata farina tratta dal sacco dei facebookiani abitanti del ridente paesello di Montesega, incastonato a valle tra Monzero, Montesega superiore e uno zaffiro grezzo di mare adriatico (con gli esplicativi sottonomi romanzati di "Nullandia" e "Il regno delle pinzilacchere").
Precede un breve excursus-vitae dei personaggi coivoilti nel dramma, gentilmente offerto dalla tizia a caso per una maggiore compenetrazione del lettore in eventi, cose, luoghi e persone.


La famiglia Smargiassi
commedia degli orrori, non adatta ai deboli di cuore
appartenete al filone "Chi non vorrebbe crescere a Montesega, il Regno delle pinzillacchere!"

Personaggi della commedia:
  • Zeta, la più piccola dell'importante famiglia Smargiassi. Studia. Non caga senza scriverlo su facebook.
  • Mollìca, secondogenita Smargiassi di cinque sorelle, occhi porcini stillanti staffilate di malignità.
  • Anacreonte, marito di Mollìca, avvocato di famiglia d'avvocati. Due figli strillazzati ovunque.
  • Pennula, terzogenita, borghese berlusconiana senza scintilla di carattere, compensa con chioma leonina e presunta bellezza d'altri tempi, tende a comunicare tramite amorfi capi griffati, uno stile tra signora Rottermaier e Burberry, e il costante riferimento al suo prendere/perdere peso. Sposata con Rozzo-man, panzone semiavvocato, fratello del marito della sorella maggiore Mollìca. Un figlio vantato con sussiego, un anno, nato lo stesso giorno dell'uomo venerato in casa Pennula: Berlusconi.
  • Liutica, primogenta, bigotta, sposata con Bamboccio. Nessun figliolo pervenuto per ora. Presenza inattiva in questo atto.
  • Gannella, sta per sposarsi. Non presente nell'atto.


Sabato sera. Facebook. La sottile capacità espressiva dei messaggi, le allusioni celate alla poliedricità dei luoghi paesani coperti, lasciano intendere, non richiesto, l'avanguardia dei mezzi di comunicazione scelti per comporre i messaggi. Le parole centellinate in un minimalismo caratterizzante l'animo angusto e anomalo del personaggio.

Stato facebook di Zeta "Mi mangio il plumcake di cioccolato! Yeeee!"

Mollìcado ve'? chi ce l'ha? ne voglio un camion!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! scherzo scherzetto!!!!!!! (Durante lo scambio si capirà, un climax nel climax, che è Anacreonte a impossessarsi del contatto facebook della moglie (un atto di attiva ribellione verso l'immota casta giuridica che rappresenta? o solo un tentativo di riappropriarsi del titolo di patriarca sottrattogli dalla moglie-commander?). Notare gli errori di grammatica e scrittura nella frase, la pateticità dell'intervento: rovesciano la dignità dell'avvocato rinomato riducendolo a un esimio ignorante e insinuano il costante dubbio che, dopotutto possa essere la stessa Mollìca a parlare, per un rovesciamento di persone e luoghi che non trova mai modo ti chetarsi nel viluppo dello scambio comunicativo in atto).

PennulaIo da lunedi prossimo mi metto a dieta, per uscire stasera mi saro' cambiata 10 volte (Tipico intervento alla Pennula: fuori contesto, privo di spirito, votato all'Io più superficiale. Il riferimento costante al fatto che la sua bellezza è stata intasata dai kili presi in quel del pasqua-time, la necessità di farlo sapere per giustificarsi e di perderli per riappropriarsi di uno status autoassegnatasi, l'unico abbordabile dai suoi limiti d'intelletto e di essere. Vanità che lotta per essere qualcosa di tra il gregge uniforme, esemplificata dal numero 10.)

Mollìca (Anacreonte): ahahahahahahahaahahahah che ridere!!!!!!!!!!!!! (La pochezza nell'inutilità di parole e onomatopee che sincretano Mollìca e Anacreonte, come quella parte l'uno dell'altra che in un matrimonio di facciata, faticano altrimenti a essere).

Mollìca (Anacreonte)come sei grassa. Noi mangiamo pesce alla cacciatora stasera. Ana. ***. (Humor disperato, raschiato dal fondo di un'ironia inesistente, ma elargita con costanza e convinzione. Il fallimento dell'intento ironico svela le idiosincrasie della famigliola - non dimentichiamo che Pennula, che Anacreonte taccia scherzosamente come grassa, è la sorella di sua moglie, nonchè sposata con suo fratello, Rozzo-man - così palesemente costruita sulla vuota convenienza, da permettere a malapena di convincere loro stessi dell'esistenza perfetta che conducono, tutti loro, sempre insieme. Notare la necessità di riappropriarsi della propria persona nel momento in cui agisce l'elemento spiritoso che lo contraddistingue: si firma con le sue iniziali, nome e cognome, alla fine del messaggio sotto nome della moglie).

PennulaIo antipasto di mare, calamaretti e pesce persico all griglia. siamo al Cantagallo (Inquietante come Pennula riesca a esplicarsi in così poche e povere parole. La necessità di avvisare che la loro perfezione si manifesta nella cena a base di pasce nel rinomato ristorante, immancabile al sabato sera, e la precisazione: "sono ingrassata? ma guardate, io mangio sano!", la rendono il perfetto prototipo della donna di Nullandia: sibaritica, impersonale, dal percorso di vita prescritto e compiuto come da prescrizione. Inoltre usa la prima persona per affermare la sua possenza e importanza egoistica. Solo quando deve dire il nome del ristorante famoso, coinvolge il povero marito, Rozzo-man: non starebbe bene stare sola a un ristorante non senza il marito che la completa, ma solo come figura sociale).

Mollìca (Anacreonte)cazzo voglio andare anche io  (Slancio incontrollato che fa fuggire Anacreonte dalle cesoie del bon ton borghese per riafferrarle immediatamente. Evento sofisticato, pacato, privo di aspettative, borghese, mondano, si mangia. Anacreonte lo vuole, e si lascia andare sperando di creare un altro intermezzo ironico-rozzo (allusione velata al fratello?), ma si ricompone immediatamente aggiungendo...).

Mollìca (Anacreonte): voi pesce persico surgelato e la persia fate voi. Noi pesce prete alla cacciatora con patate al burro ed una bottiglia di Camir di Ganate. Andate a vomitare il Cantagallo.... (L'exploit che il tema del dramma tutto. Il perfetto, rinomato avvocato, che trova da invidiare al rozzo e meno "arrivato" di lui fratello. Forse perchè la moglie del fratello Pennula, sorella di sua moglie Mollìca, è più procace, laureata, e impegnata nella comunità al punto da candidarsi - anche se ha ricevuto una sonora batosta, ma questo è un altro geniale atto della commedia - e quindi destabilizza il suo ruolo prescritto di dominatore, di vincitore? Il tono di leggerezza ironico è quasi scomparso, ne resta traccia ma senza presunzione di essere riconosciuto: "guarda Pennula - sembra dire Anacreonte - voi sarete pure al vostro ristorante di sabato sera, ma noi, ah noi mangiamo pesce pregiato e beviamo vino di qualità. Ci fate un baffo, ci fate!". Le frasi prive di senso denotano l'accavallarsi di una risposta frettolosa e aggressiva e anche, nuovamente, la fatuità del suo stato di maschio alfa. L'errore nel vino pregiato è indicativo in questo senso: è Camyr, non Camir. E' lo sfaldarsi dell'apparenza della famigliola felice, della persona di mondo e di sussiego.)

Pennula: ahaha (Risata appena accennata, algida e sofisticata per mantenere intatte più tra loro che tra chi leggerà la conversazione pubblica, la saldezza della moralità della loro famiglia, dei loro rapporti, delle loro persone. Neanche a una poco sveglia come Pennula è sfuggito l'attacco. E Il "grassa" canzonatorio non può non averla corrucciata: perde lo status, perde quel che ha, perde quel che tutti credono che abbia. La fine di Pennula.)

Mollìca (Anacreonte): che ti ridi! E' meddio u andavi aru Capicolli (Anacreonte sa di aver colpito e destabiizzato. E' tornato l'uomo alfa. In dialetto, lo sputa in faccia a Pennula(odiata Pennula? Lo spettatore deve stabilirlo, le relazioni si prestano a varie interpretazioni che la conversazione evidenzia e cela nello stesso tempo), dicendo di andare da un'altra parte ovvero un locale di parenti, altro che uscita di classe! Inutile ridere per Pennula.).

Mollìca: Tutto questo ha scritto Anacreonte (Mollìca riporta lo status quo. Si riappropria del suo contatto e della sua identità di matriarca. Mette apposto il maltolto affermando che era "piacone zuzzoloso" del marito a scherzare, non lei che attaccava la vetustà incalfibile di una sua sorella. Lo fa con un italiano scorretto e stentato, troppo per lei cedere alla seduzione delle parole. E ora la commedia può continuare.).


venerdì 30 marzo 2012

Patetica in Van Gogh

Sappiate che questo è un post patetico.
Ordunque, la sperduta anima che per un inciampo del caso dovesse passare per queste lande desolate, è avvisata. Non prendertela con me se decidi di continuare a leggere e quello che leggi ti risulta di un patetico ammorbante.
La mia vita è patetica, io sono patetica. E chiunque dica il contrario mente. O prova pietà per me, quindi mente.
E posso provarlo.

Torno dalla palestra, mi faccio la doccia, getto la borsa da un lato, la kefiah di turno dall'altra, accendo il pc, controllo le eventuali chiamate perse.... insomma i soliti gesti meccanici del cazzo. Ci sono due chiamate perse di cui una è di mio zio.
Panico:" Oddio....ora mi tortura con le domande sull'università che faccio chefacciochefaccio..... che gli dico?!"
Atto ragionativo tendente a cercare scappatoie tramite furbizie comunicative: "Calma. Mio fratello ha combinato un mezzo guaio posso sfruttare la cosa a mio subdolo favore. Tanto è la notizia del day. Tanto lo verrà a sapere entro sera. Perchè non essere io il latore? Tant'è che è un ruolo che ben mi s'addice, nevvero. Spostando la conversazione su questo punto, posso stare sufficientemente tranquilla, visto che ce n'è da chiacchierare. E poi mio fratello è rientrato, glielo passo e se la vedono loro. Sì sì sì, ludibrio e gaiezza, posso evitare il tormento per stavolta".
E siccome è meglio toglierlo subito il dente dolente chiamo, ma risulta irragiungibile. Amen, io la mia l'ho fatta.
 Il tempo di scordarmene e squilla il telefono di casa. Risponde mio fratello e chi è? L'alacre zietto, of course.
Ri-panico:"Sfiga cornuta. ora mia fratello gli racconta tutto e poi vorrà parlare con me e io come me la scampo stavolta?!"
La fine si profila all'orizzonte, ma un vorace e inatteso istinto di sopravvivenza interviene in qualche modo, e la mia mente scorre un piano evasivo dopo l'altro.

Mi ritrovo sbarrata nel cesso. L'operosissimo istinto di sopravvivenza mi ha suggerito di far finta di essere sotto la doccia. Se dovessi trovarmi in una riserva di Grizzly con un favo colmo di miele in mano, non vorrei essere nei miei panni.
Siccome l'immagine di una me fremente, che si smangiucchia le unghie, seduta sul bidè, è solo "patetica" e non "patetica patetica", esco dal bagno afferro la sciarpa nuova, che avevo messo ad asciugare e mi fiondo fuori casa, non prima di aver imbastito una pantomima davanti a mio fratello (ancora al tel con zio), per esser certa che mi avesse vista uscire.
E moh? E moh camminiamo e vediamo dove mi porta il cuore.

Il cuore mi porta alla fine della mia via, dove la strada asfaltata cede il passo a un sentiero sterrato, stretto tra campi, verzura, aranceti e tutto quel popò di natura che c'abbiamo qua intorno. E siccome bisogna pur lasciar che il tempo faccia il suo lavoro, la nostra eroina prosegue.
Sdrucciola pell'arno del fiume, che le piene invernali hanno resto pietroso, sconnesso e profondo tre metri, zompetta sul letto del fiume, leggiadra, per non disturbare la ragnatela di  rigagnoli che scende a valle e luccica d'argento sfruttando gli ultimi barbagli di un cielo grigiastro. E ovviamente li becca tutti in pieno, i rigagnoli.
'Nzuppandosi così le precarie scarpette, ella raggiunge il ridente sentiero, sferzato da un fottuto vento de la malora, che le schiaffa folate di pungente terra ne li occhi, sdradica i giuovani bocciuoli primaverili, e agita i neri cipressi d'intorno il sentiero, come fossero ruggenti e tormentate fiamme d'infera provenienza.
Tutto molto bello.
Tutto molto bucolico.
'Che pare di stare in un quadro del Van Gogh.

Eccomi. Io sono la dama tra la verzura. Sotto i cipressi indemoniati. Sembrano due donne perchè sono grassa.

Passato che fu il tempo giusto -ovvero nel momento preciso preciso in cui sento latrare un cane in lontananza - giro sui tacchi e me ne ritorno a casa e chi ti incontro?
La madre!
Chiaro. Tutto perfettamente lineare. Trama, sceneggiatura e contesto si danno il braccetto. Questa è letteratura cinematografica di fine ordine, questa. Altro che Shutter Island!

Madre:"Da dove arrivi?".
Dafne: "Ti aiuto a portare la spesa".
Madre:"Dove sei andata?".
Dafne:"A cercare la sciarpa".
Madre:"Te l'ha volata?! Lo sapevo, ti sta bene! Prima di uscire l'avevo vista sferzata dal vento."
Dafne:"Sì...ma l'ho ritrovata".
Madre:"E dove?"
Dafne:"Su un albero. Devo solo lavarla di nuovo."

Quale film perfetto sarebbe se non ci fosse giusto un accenno di improbabile fatalismo?

Ecco qua.
Vi avevo avvisato o no che era un post patetico? Che la mia vita è patetica? Che io sono patetica?
Che tutto tutto tutto è insomma cazzutamente patetico? Eh?!

venerdì 23 marzo 2012

It's an american life

I miei primi pancakes sono un disastro alla vista - sembrano più spumose frattaglie di uova - ma il gusto è ottimo. Sono alla crusca d'avena con basso apporto di calorie, accompagnati dal più bollente dei caffè americani con schiuma. Coma se la mia fosse una storia americana.
Sperando che scomodi ricordi non tornino a rodere viscere e pensieri come oggi, mentre li facevo - sono invisa all'essere con cui più spesso ne ho parlato e che avrebbe dovuto cucinarle per me o insegnarmi o vabbè tanto ormai 'sti cazzi - ripeterò domenica l'alchimia culinaria,sperando assumano magicamente la forma classica del pancake e le piazzerò qui a bella vista. Metterle oggi sarebbe un insulto al loro sapore. Anche se la cosa non interessa anessuno. Ma come già detto in queste brevi righe, 'sti cazzi!

martedì 20 marzo 2012

Una stella tra le nebbie

Epilogo:

C'è una lanterna, e nella lanterna una luce, del colore di una stella
A illuminare le tue notti peste
Non è forte come la tua nebbia,
un grigio troppo compatto ti divide da lei.
Non l'avevi mai visto quel colore,
se non occhieggiare nei cieli d'estate,
anni luce lontano da te.

Però continua ad avvicinarsi.
Cosa si aspetta da te?
Non appartiene al tuo universo.
Nonostante ciò SAI che cos'è.
Devi solo alzarti, nuotare tra le dense nebbie dei tuoi mondi,
e raggiungerla.

I colori che ti restano...pochi esuli, pallidi, sbiaditi...
come?
Come possono danzare col colore di una stella?
La delusione della luce non la sopporterai.
Nuoterai lo stesso, tra i flutti di nebbia?
Affonderai le tue mani stanche tra i suoi raggi?
Nuoterai o affogherai?
Tu sai cos'è.
Ora nuota.
E poi danza.