mercoledì 10 novembre 2010

Il dettaglio dell'esistere

 “Tutto quello che importa alle persone è chi fa sesso con chi e chi è disponibile per fare sesso”. Frase di Mark Zuckerberg tratta dal film “Social Network” che esemplifica magistralmente la vera funzione di facebook e il perché ha tanto successo, nonché l’ingrediente base da cui il polpettone del social network ha lievitato, sempre ammesso che il polpettone lieviti, il mio nuovo interesse per la cucina non prevede polpettoni tra le mie ricette da sfornare. Personalmente ho sempre creduto vi sia dell’altro: ovvero la dissacrante necessità di far vedere alle persone cos’è la propria vita vera o presunta, e quanto questa possa essere in qualche modo originale o interessante o socialmente attiva o impegnata o fantastigliosa; e ancora più potente la voglia di ficcare il naso in cazzi non propriamente nostri, ma di persone in qualche modo conosciute, cazzi che comunque vengono con magnanimità e spirito di condivisione, elargiti.
E quindi diventa quasi una necessità avere un contatto di qualche genere se non su facebook, su un social network affine, perché esisti se gli altri lo sanno, più sanno cose su di te più esisti, più amici hai, più hai l’illusione di essere importante, famoso, interessante.

Probabilmente ciò che mi ha spinto a edificare un blog del genere non è tanto distante da questo sentimento di rivalsa e di esistenza documentata a tutti i costi, con le dovute differenze non poi così scontate: esisto perché scrivo, qualsiasi cosa mi riguarda la scrivo, qualsiasi futile, trascurabilissimo dettaglio questo blog lo saprà. Al contrario di facebook nessuno verrà a saperlo, ma non ha importanza, potrebbero leggerlo tutte le persone che conosco, tutte quelle che non conosco o nessuno al mondo non cambierebbe un’acca. Io continuo ad esistere, così, solo scrivendomi.

A questo proposito dovrei avere più tempo per riportare tutto ciò che mi passa per la mente, ma studiando tutto il giorno, la sera sono troppo stanca e devo fare uno sforzo per non addormentarmi sulla tastiera, almeno all’inizio. Una volta che comincio a scrivere difficilmente sento la stanchezza o la voglia di fermarmi; le mie dita son trascinate da una forza che mi era sconosciuta e battono seguendo un ritmo stilistico tutto loro, come fossero programmate a scrivere e sia io che le supporti, loro che tengono in stand by il mio corpo assonnato per assolvere il loro compito.
Ma non basta. Non mi basta aver, per esempio, trascritto una semplice cronaca della giornata di sabato, perché non è questo che mi sono preposta qui. Voglio spolpare ogni recesso, ogni dettaglio messo alla berlina; ogni sensazione nella gamma infinita di quelle che sono in grado di provare in un giorno, deve essere vagliata, analizzata ai raggi x. Vorrei poter enunciare il contenuto intero dei miei pensieri nella stessa forma in cui loro si presentano a me, utilizzando un linguaggio loro, fatto di rappresentazioni mentali e stati intenzionali, e non tradurlo in segno linguistico o comunque concedergli ogni spazio possibile per manifestasi in tutte le modalità che riesco a utilizzare su un computer.
Se quello di domenica era un resoconto cronachistico e linguistico, oggi proverò a cadenzarlo per immagini di dettagli passabili, futili, beffardamente auto referenti.

La prima immagine è quella dei biscotti, che in realtà ho preso da internet (ma è sono immagine delle ricette che ho seguito e il risultato è pressocchè identico) perché ho dimenticato di scattare una foto alla piramide bianconera avvolta in fragranze nuvolose e biscottate e il giorno dopo quelli rimasti a casa erano già stati spazzolati da mia madre e mio fratello.
Li ho assaggiati con A., nell’ambiente ideale per mangiare biscotti, perfetto se fossi stata con la persona giusta, ma apprezzabile anche così: eravamo a P.G., un tramonto stinto scoloriva il cielo e alzava folate di umidità fredda sulla spiaggia ocra e umida, popolata solo da un pescatore solitario, le sue tre canne da pesca (che serviranno mai tre canne se sei uno!) e una donna con una nikon professionale che scattava foto al paradiso piangente di scogli e mare d’autunno. Biscotto e salsedine, sciabordio di onde discrete e aromi potenti, fuori posto, beatamente irrispettosi nell’impreziosire con il loro alchemico sapore, con il loro burroso e farinoso odore, il profumo più selvaggio del mare. Due mondi opposti improvvisamente congiunti in respiri simbiotizzanti. Quelli al cioccolato dalla crosta friabile che esplodeva nel cuore di fondente, sprizzando un aroma morbido e robusto, dolce ma di quel dolce concentrato, trattenuto, retroattivo del cioccolato fondente stemperato dallo spruzzo di zucchero a velo: sapori ad incastro.
Ma per quanto amante frustrata del cioccolato senza possibilità di cedimenti, quelli al burro li apprezzai di più. Troppo potenti per permettere alle fragranze marine anche solo di avvicinarsi alle narici, ogni morso un esplosione di dolcezza che si scioglieva sulla lingua senza permettere ai denti di partecipare all’orgia, con la granella di nocciola fiera come zucchero di canna e il sentore del burro dissimulato dall’intervento degli altri ingredienti, presente però, riconoscibile, fermo e mai succube di questi.


Il mio abbigliamento di sabato non è stato ponderato ma abbastanza semplice e istintivo votato alla praticità, ma con un tocco personal-rock che cerco di non far mancare mai. Perché quando manca difficilmente mi sento a mio agio, come se indossassi abiti riluttanti, camaleontici ma solo al contesto, mai a me. Basta anche solo un accessorio per ristabilire la sintonia identitaria.
Jeans Levi’s di cui avevo scordato l’esistenza, rinvenuti dai meandri del mio armadio solo da qualche giorno, taglio classico e scoloriti nelle fogge consunte del marroncino stile cow boy cui ero ossessionata qualche anno fa; maglia con richiami in pelle e scritte inneggianti rock’n roll e con le frange al posto delle maniche.

Polsini sulla maglia grigio scuro onyx che ho messo sotto quella sfrangiata nera: uno con teschi e borchie, l’altro nero a doppio giro. Assolutamente irrinunciabili. Borsa nera di finta pelle e panno con borchie, molto capiente e ricca di tasche.
 
Scarponcini scamosciati beige con punta di ferro che adoro ma che posseggo da tanti di quegli anni da essere oramai inservibili sotto la pioggia, perfetti invece per una giornata asciutta e novembrina come quella di sabato.

Giacca tartan Pull &Bear, la mia preferita, spero di poterla indossare ancora a lungo prima del sopraggiungere del grande fredda da piumini. 


Altro dettaglio immancabile la scelta del libro, questi sì, ponderata. E alla fine della ponderazione ho deciso a malincuore di interrompere la sfida, di bloccare la lettura appena accennata di Jubiabà e iniziare un libro più leggero, più breve, più adeguato alle circostanze, adeguato al punto che l’ho già finito. Mi spiace per Jubiabà perché è una sconfitta: quel libro era una sfida tra me e il Meridiano, tra me e i lettori di altro stampo, quelli vincenti e paraculi, snob e brillantati di successi. L’ho persa? Non lo so. Diciamo che l’ho sospesa per ora, ma troppo studio per un libro del genere, in più presto scadrà il termine di consegna in biblioteca e non avrei il tempo di finirlo prima di restituirlo, inutile quindi persistere.
Il libro che ho scelto è nella mia libreria da qualche mese, ultimamente pulsante allo stremo nel richiamare la mia attenzione, così ho deciso di concedergliela e non mi ha deluso del tutto. Ma ne parlerò altrove…


Biscotti, vestiti,libro…vediamo potrei parlare degli orecchini che ho usato ma tra un mese farò i buchi in più alle orecchie e potrò sbizzarrirmi a parlare di orecchini quindi per ora passo…

Il ristorante in cui abbiamo mangiato, messicano e suggestivo, Old Wild West, un tuffo nel far west insperato e divertentissimo per quanto mi riguarda, visto che amo queste rappresentazioni stile gioco di ruolo, tipico da locale americano che si espleta perfettamente nei sapori alternativi e speziati, forti e cremosi delle salse dai colori accesi, verdi, gialli rossi, rosa, della tortillas esotiche, dalle verdure condite ad arte e le carni alla griglia, dei formaggi più piccanti di quelli italiani. Ho trovato le foto del locale su internet visto che non so ancora come trascinarle dal mio cellulare al pc.Sono comuqnue identiche e perfette con in più un' immaginazione da pepe sulla lingua.


Ho foto e a bizzeffe della porzione di costa del mio paese, una delle mie mete preferite nelle passeggiate solitarie, dove gustammo tramonto ai biscotti. 


E del lungomare dove probabilmente mi beccai questo un arcigno mal di gola che fatica a scomparire. 


E dell’immancabile gelato che lui non conosceva, ma come si fa a vivere senza averlo mai mangiato?
SANDAE al CARAMELLO (McDonalds)

Dettagli, dettagli, dettagli… non ne ho altri da illustrare, non per quel giorno di cui continuo a parlare nonostante non sia stato questa gran meraviglia. Ma è il parlarne, il solo parlarne mi conferma il suo effettivo avvenimento e mi dà la certezza di esistere. Ancora un poco, sbiadita, ma esisto…

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