lunedì 29 novembre 2010

Giro di boa


Non potrò più scrivere per un po’ ahimè. Questo vuol dire eliminare l’ultima valvola di sfogo rimastami. Ma devo impormi meno distrazioni possibili.

Anche se non saprò niente dovrò dare questi esami e l’ansia mi attanaglia. Non so come fare. Studiare così non è salutare, non è niente è solo una tortura. Perché deve essere così difficile solo per me? Eppure studio volentieri generalmente, mi piace. Ma perché quando c’è da complicarsi la vita sono così pronta e così brava. Voglio essere libera, non voglio più vivere con questa spada di Damocle dell’università che mi pende sul capo. Non capisco quando e come è diventata questo. Se ripenso a come ero entusiasta quando iniziai a studiare all’università…di chi è la colpa di quanto è successo?
Del mio corso fasullo e difficile?
Di coloro che mi sono sempre stati col fiato sul collo guardandomi accusatori e soppesatori con occhi felini, fosforescenti tra le tenebre?
O solo mia?
Non può essere del mio corso perché per quanto tragico è stato affrontato e superato brillantemente da molti altri.
E non posso neanche alleggerirmi la coscienza pensando che la colpa sia delle persone che mi circondano, è solo mia, ahimè. Anche ora nonostante cammini sul baratro non pongo rimedi per allontanarmi e mettermi al riparo ma continuo a camminarvi a filo, sperando, quasi di cadervi per potermi abbandonare alla disperazione che per quanto mi faccia paura, è anche stranamente e pericolosamente confortante.
Accettare il fallimento. Non cercare più di combatterlo perché tanto fa parte di me non posso contrastarlo in eterno e vivo male provandoci di continuo.
Forse è per questo che la mia vita è stata una tragedia: perché ho cercato di lottare contro i miei continui fallimenti in una lotta infinita, cozzando sempre con la sconfitta. Devo arrendermi? Devo accettarlo e lasciare che mi conduca come un lento e mortifero Gange, alla realizzazione del mio destino?

Non lo so.
Dieci giorni sono così pochi.
E io sono così sola.
Come faccio ad affrontare tutto questo così sola con i fumi della paura e l’ansia e quella voce stridula che mi ripete quanto è inutile, quanto io sia inutile, nelle orecchie?
Come farò?
Eppure dovrò provarci. Fino a metà dicembre non aprirò neanche il computer se
non in casi disperati. Ma voglio almeno scrivere qualcosa nei prossimo due giorni: novembre ho scritto anche un solo stupido rigo ogni giorno e questo mi piace. Concluderò il mese e riprenderò a scrivere assiduamente dopo gli esami. Non oso neanche pensare a che ne sarà di me. Allora.

Intanto mi godo questa luce arancione che inzucchisce la sfera-quartiere arginando con fiochi fumi luminescenti il nero d’inchiostro che ci assale dai prati. Sembra che un enorme camino riscaldi e rifranga le sue fiamme su ogni cosa. Solo che niente si muove. Ognuno è in casa propria, egoisticamente e fieramente lontano dagli altri. Nessuno a godersi il tepore arrostito del camino nella zucca-quartiere. Solo il respiro del mio contorno avvoltolato in stati di felpe e maglioni, s’intravede nel vano del balcone.

La notte è già antica, ma non per me. Torno di là, da sola, a studiare. O almeno ci provo.

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