giovedì 18 novembre 2010

Jesus died for somebody's sins but not mine

“Gesù è morto per i peccati di qualcuno ma non per i miei….I miei peccati appartengono solo a me.” Esordisce così "Gloria", la prima canzone dell’album più straziante, poetico, proto-punk e urlato di Patti Smith (Horses). E’ il giusto incipit anche della mia esistenza, questa frase. Se ognuno di noi avesse un sottotitolo nel libro della propria vita, una specie di “cappello” giornalistico che riassuma il concentrato di una vita anticipandone i risvolti più onnicomprensivi, questo sarebbe il mio.

Oh… quanto sarebbe comodo poter cercare nel Fato o in Dio o in Buddha o in chi prenda il loro posto a seconda dei casi, un capro espiatorio tale da sgravare il peso di quei fallimenti-errori-pasticci-facezie-nullezie-inanità che compongono come una sinfonia stonata la mia vita.
E spesso me lo ripeto, scusante balsamica a cui solo le mura zittite dall’inanimismo possono credere. “Non è del tutto colpa tua Dafne, non essere così drastica e cattiva con te stessa! Se avessi avuto una storia più normale, un’adolescenza più serena, una famiglia più fiduciosa in te, se le circostanze non avrebbero circostanziato contro di te, allora forse, questo informe amplesso di refusi e sterco non saresti tu. Non sei d’accordo con me, Dafny?”. Com’è furba l’altra me. Sempre pronta a raccogliere ogni briciola di potere, ogni grama possibilità di evadere e primeggiare e far cedere le mie difese per sollazzarsi, non importa se per farlo debba indugiare su carezzevoli scusanti o su mitraglie di insulti.

Sarebbe bello, comodo sì, ma ha ragione Patti, appartengono solo a me i miei peccati. La mia incapacità di essere accettata e di convivere insieme agli altri; i miei fallimenti universitari; la nullità della mia vita in cui il vento ulula in echi che rimbalzano sul vuoto imperante; la mia insoddisfazione, invidia, cattiveria; il cedere così tante volte a peccati che mi sformano stirando infinitamente gli ipotetici tempi di recupero; l’essere abbandonata da tutte quelle poche anime con cui riesco a costruire un surrogato di rapporto; la sofferenza lancinante della solitudine incolmabile perché tanto come la colmi un pochino, una nuova falla provvederà a svuotarla nuovamente; il dover ancora pesare su mia madre economicamente; l’incapacità a fare alcunché; la ragione per cui inizierà la parabola discendente della mia vita senza che questa sia ancora iniziata né mai comincerà; la morte solitaria e vuota che mi aspetta, vuota quanto la mia vita; la mia stupidità e incapacità latente; il fatto che non piaccio a nessuno alla lunga; che nessuno mi abbia mai amata; che nessuno desideri veramente stare con me. Etcetera, Etcetera…

E’ tutta colpa mia, non del caso e delle circostanza, ma mia, della mia inadeguatezza, del mio nullismo. I miei peccati appartengono a me.
E una volta appurato ciò?
Averne la certezza non aiuta a quanto pare. Sono qui a fare i conti con gli effluvi mefitici che la mia mente estende nella stanza stipata di cd, libri e fumetti, ammantando la luce d’orata di un nero nubiforme che accresce la mia difficoltà a respirare, mentre in una catasta artistica, si arraffano quaderni, libri e fotocopie da studiare, in letargo sul letto inusato di mia sorella, troppo presa a vivere, lei sì, la sua vita a Roma.
E quando arriverà dicembre e un gelo di morte attanaglierà le mie meningi e il mio cuore, quando per l’ennesima volta piangerò le mie lacrime per non essere riuscita a dare gli ultimi tre esami, allora potrò ripensare a questo momento e ricordarmi quanto avevo ragione nel credere che i miei peccati mi appartengono e sono la sola causa della mia non-vita, infelicissima e disgraziata non-esistenza.

Per ora posso solo continuare a chiedermi il perché allora, perché diavolo sono stata messa al mondo se non servo a nessuno e nessuno ha bisogno di me, neanche io stessa? Perché diavolo questa cosa preziosa e rara che è la vita viene concessa a un fantoccio senza speranze né spina dorsale quale io sono invece di essere un dono per anime più meritevoli e che meglio saprebbero goderne rispetto a me? Perché muoiono o soffrono per malattie ragazzi e ragazze splendidi, che meriterebbero ogni bene e una vita lunga e felice mentre io, la più egoista e indegna, proseguo con le mie patetiche turbe, infangando l’esistenza, fregandomene delle loro sofferenze perché tanto, come l’umanità da sempre sostiene, “la vita deve andare avanti” e chissene se il resto del mondo soffre e non vive?
Eh…perché, Patti? Se continuo ad ascoltare spasmodicamente il tuo Horses, trovo la risposta anche a questo?


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