mercoledì 28 dicembre 2011

L'albero di stelle

Scritto 12 giugno 2009


C'era una volta un grosso Albero senza identità nel bel mezzo dell'Universo. Non era un fulgido Acero, non era un'argentea Betulla nè una solida Quercia. Nessuno sapeva dirgli chi fosse.

Stanco di sentirsi inutile e senza nome, staccò dal suolo del mondo le sue enormi radici e andò alla ricerca del senso di tutti quegli enormi rami spogli che si ritrovava . Ma l'unica cosa che destò la sua curiosità nella vastità dell'universo, fu uno spento e nudo Pianetucolo che viveva isolato ai margini del mondo: si nutriva solo di sogni, ma cantava le parole più belle e tristi che vento avesse mai soffiato sulla corteccia dell' Albero.

Senza pensare alle conseguenze eventuali decise di fare qualcosa per lui, di usare i suoi possenti quanto inutili rami per spingerlo fuori dalla sua orbita...



Il nudo e spoglio Pianetucolo si sevgliò dal suo torbido sogno sentendo un forte strappo e una perdita di stabilità, e colse la palla al balzo. Applicando una costante forza, nota alla fisica quantistica come "forza di volontà", riuscì ad allentare le redini che lo costringevano a muoversi costantemente nell'ellissi che Caso e Natura avevano scelto per lui. Allontanarsi dal suo angusto posto nel mondo non fu facile, ma un lontano e calorico brillio allettò il suo spirito tanto da spingerlo a modificare la sua natura.

Così lui, piccolo roccioso e meditabondo, accettò le avances del caldo e luminoso Sole.

Avendo vissuto ai margini più tetri dell'universo, scoprì quanto questo fosse, altrove, luminoso e accogliente, lì dove regnavano i giusti e i belli, i ricchi e i savi. Cominciò a sentirsi privilegiato e protetto, ad abbandonare il crogiolo di fantasia e immaginazione che si era costruito attorno lasciando che fosse il Sole ad avvolgerlo e trastullarlo con i suoi aurei raggi.

Nell'equilibrato mondo dei vivi tutto era d'oro: i sogni, le prospettive, i possedimenti, la frangia del potere. Lui lo sapeva, sapeva che lasciarsi stringere dal potente Sole equivaleva ad accattare ciò che nella vita aveva rifuggito: la normalità, gli onori della cronaca,  l'unanime e condizionato urlo degli Splendidi, il voto a Berlusconi. Come poteva non saperlo? Era lì davanti ai suoi occhi. Ma non gli importava, ciò che contava erano le parole.

Le parole erano l'unica arma che possedeva il più derelitto dei pianeti. Taglienti o soffuse, blande o dirette, ritmate o sincopate, le sue parole incantarono il Sole che rispose immediatamente: una colonna sonora che pulsava a ritmo dei loro nuclei.

E vivere divenne volare dentro una bolla di magico realismo. Lo spoglio pianeta e il potente sole danzavano sulla colonna sonora delle loro parole, attorno a quegli altri pianeti tanto belli quanto irrimediabilmente silenti.

L' Albero guardava e sorrideva: era stato lui l'artefice di tutto questo. Ora sapeva chi era, quale fosse il suo posto nel mondo: illuminare e aiutare l'amore a germogliare, a concretizzare l'impalpabilità del Sogno.  Come rispondendo agli ordini delle parole che Sole e Pianetucolo intrecciavano sotto di lui, sui suoi rami nacquero soffici boccioli e poi fiori scintillanti e aggraziati come mai se ne erano visti, dai cinque petali acuminati ed esoterici.

Ora il firmammento aveva acquistato l'aggraziata bellezza che gli spettava di diritto, l' Albero di Stelle la sua smarrita identità e l' arena era finalmente pronta: l'infinito dell'universo era al servizio dell'eterna danza del Sole e del Pianetucolo, mentre tutt'attorno i rami dell' Albero continuavano a spandersi al ritmo della loro musica e vegliavano sul suono di quelle parole che creavano l' Amore. Finchè...



Finchè il bel Sole volle tornare alla sua raggiante realtà e portare con sè il piccolo e brutto Pianetucolo.

Ma lo spoglio Pianetucolo non era pronto ad abbandonare del tutto il suo eremo solitario: lui voleva continuare a danzare nella loro bolla di sogni e parole prima di affiancare il Re Sole nel suo mondo. Voleva diventare bello, ricco di fiori e verde di rugiada, tornito da uccelli canterini, anelli di fiumi e manti di mari scintillanti, voleva avere rosee nuvole sul suo capo e bianche margherite ai piedi, cespugli solleciti e miniere di diamanti. Voleva essere degno di lui.

Ma aveva bisogno di Tempo per questo, mentre il Sole, geloso e affettuoso lo voleva subito per sè, così, nudo e  freddo, per poterlo scaldare e abbracciare lui stesso. E non  capiva, non capiva che il Pianetucolo non poteva affrontare il mondo senza una copertura.

I raggi del sole si allontanarono dalla sua superficie, la luce nell'arena si spense e l'Albero aprì i suoi rami scintillanti per farlo passare: bello e austero come era sempre stato e come il Pianetucolo lo avrebbe sempre ricordato, il Sole tornò nel suo mondo di feste e doveri.

La forzà di gravità annichilì quella di volontà e il Pianetucolo venne portato via dal confortante brillio, catapultato ferocemente nel suo angusto anfratto che non aveva voluto lasciare del tutto. "E' la mia natura" ripeteva mentre lacrime amare sferzavano le aguzze rocce sulla sua pelle, e lui potè solo ricercare nel ricordo quel caldo tepore che l'aveva fatto vivere, così poco, e riproporlo nell'infinita sequenza dei tristi giorni a venire.

Perchè intorno a lui era tornato ad esserci solo buio, freddo e un vuoto in più: nel suo nucleo più profondo e palpitante, una ferita che lo avrebbe corroso fino alla Morte. E non poteva fare altro che aspettarla e mordere il cuscino finchè non fosse arrivata portandolo per sempre nell'oblio, dove avrebbe dovuto abbandonare anche i suoi amati ricordi, il giorno in cui l'ultima stella dell'Albero, oramai privo della vitale linfa di parole che erano soliti elargirgli gli amanti ai suoi piedi, si  sarebbe inevitabilmente spenta.

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