mercoledì 28 dicembre 2011

Il maleficio della farfalla

Prologo assolutamente eccezionale a mio avviso, del dramma entomologico "El maleficio de la mariposa" di un grande poeta Federico Garcìa Lorca.


"Signori, la commedia alla quale state per assistere è modesta e inquietante. È la povera commedia di chi, volendo graffiare la luna, graffia invece il proprio cuore. L’amore, allo stesso modo in cui attraversa con i suoi inganni e i suoi tradimenti la vita dell’uomo, nel nostro caso attraversa una sperduta prateria popolata d’insetti, dove, molto tempo fa, la vita era pacifica e serena. Gli insetti erano contenti, preoccupati soltanto di bere in tutta tranquillità le stille di rugiada e di educare i loro figlioli nel santo timore dei loro dèi. Si amavano per consuetudine e senza affanni. L’amore passava di padre in figlio come un vecchio, prezioso gioiello ricevuto dal capostipite direttamente dalle mani di Dio. Con la stessa tranquillità e certezza del polline dei fiori che si consegna al vento, essi si godevano l’amore sotto l’erba umida. Ma un giorno… ci fu un insetto che volle andare oltre l’amore. Si lasciò incantare da una visione immensamente lontana dalla sua vita… Forse aveva letto con non poca difficoltà un libro di versi abbandonato sul muschio da uno di quei pochi poeti che sogliono passeggiare per i campi, restando intossicato da frasi del tipo «ti amo, donna crudele». Ecco perché io vi supplico, tutti quanti, di non lasciare mai libri di versi sui prati, perché potreste provocare una tremenda desolazione fra gli insetti. La poesia che si chiede perché cadono le stelle è assai nociva alle anime non ancora sbocciate… È superfluo dirvi che il povero animaletto innamorato ne morì. Ma è che la Morte ama camuffarsi da Amore! Quante volte l’enorme scheletro munito di falce che vediamo ritratto sui libri di preghiere assume sembianze femminili per ingannarci e aprirci le porte della sua ombra! Si direbbe che il piccolo Cupido sovente dorma nelle vuote orbite del suo teschio. E in quante antiche fiabe un fiore, un bacio o uno sguardo svolgono il medesimo atroce compito del pugnale! Un vecchio silfo dei boschi, fugito da un libro del grande Shakespeare, che se ne va per i prati reggendo con delle stampelle le sue ali avvizzite, raccontò al poeta questa storia occulta una sera d’autunno, quando ormai le greggi si erano allontanate e adesso il poeta ve la ripete avvolta nella propria malinconia. Ma prima di incominciare, voglio rivolgere a voi la stessa preghiera a lui rivolta dal vecchio silfo quella sera d’autunno, quando le greggi si erano ormai allontanate. Perché sentite tanta ripugnanza verso certi insetti lindi e lucenti che si muovono graziosamente in mezzo all’erba? E perché a voi uomini, ricolmi di peccati e incorreggibili vizi, ispirano tanto ribrezzo i buoni vermiciattoli che se vanno tranquillamente a spasso per i prati sotto il sole nei tiepidi mattini? Che ragione avete per disprezzare quel lato minore della Natura? Se non amerete profondamente la pietra e il verme non entrerete nel regno dei Cieli. Anche il vecchio silfo lo disse al poeta: «Ben presto verrà il regno degli animali e delle piante; l’uomo si dimentica del suo Creatore, mentre l’animale e la pianta si trovano assai vicini alla sua luce; di’, o poeta, agli uomini che l’amore nasce con uguale intensità a tutti i livelli di vita; che il medesimo ritmo della foglia mossa dal vento lo ha la stella lontana e che le stesse parole della fronte nell’oscurità le ripete sul medesimo tono il mare; di’ all’uomo di essere umile, perché tutto è uguale nella Natura!». Non disse altro il vecchio silfo. Ora, seguite la commedia. Forse vi farà ridere che questi insetti parlino come tanti piccoli uomini, come degli adolescenti. E, se da essa trarrete una qualche profonda lezione, andate nel bosco a ringraziare il vecchio silfo con le stampelle, in una sera tranquilla, quando le greggi si siano allontanate."

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