venerdì 24 dicembre 2010

Come andò che superai Lingua dei segni


Era una solita mattina di metà dicembre a Cosenza, con qualche spruzzo di giallo a riverberare qua e là l’erba brinata che circonda il campus universitario cosentino.
Avrei dovuto cogliere in questi meteorologici segni, un cenno di buona speranza, ma appena scesa dall’autobus il mio solo pensiero era:
  1. ingoiare boccate d’aria forzando l’ansia che serrava la mia gola;
  2. eludere accuratamente tutor minchioni appartenenti, in un remoto passato al mio corso, e solitamente intenti a fissarmi dall’alto in giù chiedendomi con infida curiosità che esame devo (ancora?!) dare;
  3. proteggere le mie stanche membra dal gelo di prima mattina;
  4. sottrarsi alla tentazione di saccheggiare i distributori di merendine che rigurgitavano cioccolata e patatine davanti ai miei occhi;
  5. evitare di vomitare dopo essermi rimpinzata di sdolcinerie caramellate.

Per schivare l’ostacolo tutor, come in un videogame di scarso gusto, ho aggirato il cubo del mio corso prendendo un’astrusa e lunga strada e mi sono rincantucciata sugli scalini gelidi davanti ai distributori.
Avevo trascorso una nottata intera insonne per ripetere e non avevo nessuna intenzione di continuare a farlo, ma tenere il quaderno tra le mani mi dava un certo conforto.
Era ancora presto quando mi sono recata all’ufficio della professoressa, c’ero solo io: ho sperato fino alla fine che nessun altro si presentasse, che lei non si presentasse, che l’esame venisse rinviato. Perché?
Dopo tutta quella fatica, dopo tutto il tempo passato a studiare, nonostante sapessi che così avrei dovuto continuare a perpetuare l’ansia per tutte le vacanza, nonostante sapessi che avrei dovuto continuare a studiare e ripetere Lingua dei segni oltre che riprendere il terribile Filosofia della mente. A dispetto di ciò, mi auguravo non venisse, mi immaginavo gironzolare serena e senza l’opprimente peso dell’ennesimo, prossimo, fallimento sulle spalle, per la Cosenza natalizia cui da anni le mie pupille sono abituate e che quest’anno mi è mancata. Parecchio.
Poi è arrivata una tizia del mio stesso corso ma di diverso anno che doveva dare lo stesso esame.
Porella! Immagino volesse ripetere, ma io non comunicavo con umano da 13 ore oramai e dovevo trovare il modo di distrarmi per scaricare l’ansia. Non che si sia fatta pregare la fanciullina in corso, anzi! Mi ha spiattellato i risvolti della sua perfetta esistenza, di come è in Erasmus da sei mesi e ora prorogherà la permanenza per altri sei, di come si diverte, di come è grandioso, di come sia perfetto il suo inglese, di come aveva addirittura scalato la classifica dei pretendenti all’unico posto per Cambridge (oddio… pensa che sarebbe studiare a Cambridge, non posso neanche lontanamente aspirarci io…con la mia inconsistente competenza e nullezza, neanche sapevo che università prestigiose e private come Cambridge fossero propense ad accogliere studenti dell’Università della Calabria!!! Figurarsi, tant’è vero che la tizia non ci è andata alla fine …) ma ha dovuto rinunciarvi perché il nostro corso idiota e improponibile di “Filosofie e scienze della comunicazione e della conoscenza”, non ha un riscontro in nessuna università rispettabile e il professore doveva seguirla a Cambridge, non ha ritenuto il suo piano di studi adeguato a un’ammissione nel prestigioso campus inglese; di come abbia poi, invece e felicemente, scelto Varsavia dove vive abbondantemente e come un pashà, con soli 100 euro al mese, riuscendo con questa cifra a pagare affitto, bollette, libri, cibo e altro, perché in Polonia con 100 euro sei ricco, in pratica; di come si diverta con feste e viva con tre ragazzi proveniente da svariate parti d’Europa; di come le manchino pochi esami per laurearsi ma se la prende con comodo e si gode l’Erasmus; di come poi, il suo ragazzo sia un quasi ingegnere anche lui in Erasmus in Irlanda; di come i suoi viti siano altissimi ecc ecc ecc.
Ho invidiato la ragazza? Assolutamente sì.
Ho desiderato essere nei suoi panni? Sì.
Mi sentita una merdina sfigata con rinnovato fervore davanti a queste parole? Sì. sì. Più che abbastanza.
Ho pensato di mollarle un cazzotto per l’esaltata soddisfazione che usava nel vantarsi della sua perfetta esistenza fatta di divertimento e vita vita vita e ancora vita davanti alla mia così scarsa di suddetta vita? Sì…certo.
Ma questo è, inutile prenderla a pugni sarebbe stato.

Quando arrivò la professoressa me la stavo facendo letteralmente sotto. Col fatto che l’annuncio dell’appello fosse stato inserito nel blog solo la sera prima, e che eravamo praticamente a un giorno dalla chiusura dell’attività universitaria per le feste, eravamo solo una ventina all’appello, ma ero così incerta e gravata dal riflesso dorato della carriera universitaria della “polacca”, che se non fosse arrivata presto la prof e non mi avesse chiamata subito, me ne sarei andata a gambe levate.

In realtà, quando ha chiesto se qualcuno voleva rompere il ghiaccio mi sono offerta.
Ok… sì sono esterrefatta anche io, non so perché cazzo mi sono offerta, non è da me. Credo per la subconscia paura di non resistere al nervosismo dell’attesa, di scappare.
Lei si è rivelata essere l’osso duro che dicevano: non solo mi ha chiesto un sacco di cose, ma pretendeva chiarimenti e precisazioni che nel libro non c’erano. Un paio di volte mi ha anche chiesto dove avessi letto quello che dicevo e io sapevo il libro talmente a memoria che non ebbi difficoltà a trovarle le pagine cui mi riferivo. Credo la cosa l’abbia colpita e le abbia fatto piacere. In più, il libro l’ha scritto lei e ha commentato con un “mi faccia vedere chissà che ho scritto” che mi lascia perplessa sulle modalità di stesura dei libri da parte dei professori, ma tanto oramai l’ho dato quindi chissene. S
ono rimasta sorpresa da me stessa. Credo che pensassi reconditamente, che non avevo niente da perdere se non uscire al più presto da lì e questo mi ha conferito un’anomala sicumera, una particolare calma che mi ha permesso di rispondere a tutto e argomentare bene e la professoressa malvagina ne gongolava soddisfatta. A onor del vero è stata puntigliosa e ha preteso molto, ma non è stata questa malvagità che mi avevano descritto. Forse perché aveva capito che avevo studiato o forse perché era reduce della morte della madre (a proposito bisogna darle credito per essere venuta a fare l’esame più che altro…mi ha fatto una gran tenerezza) e questo l’ha ammansita, non lo so. So solo che mi ha dato 30 e non me l’aspettavo di certo; so che mi ha salutato calorosamente facendomi gli auguri di Natale; che ha precisato che per due crediti ho fatto lo stesso corposo programma di altri cui invece l’esame assegna quattro crediti (il che più che rendermi orgogliosa mi fa incazzare di brutto ancora una volta col mio corso del cazzo); e so che sono fuggita da lì senza assistere all’esito dell’esame della “polacca” o altro, sono scappata dall’università verso i luccicori della natalizia Cosenza, con un peso in meno, con un esame in meno, con un 30 in più.

Ora resta solo lo scoglio enorme di Filosofia della mente, mod. A e mod. B. Dovrò affrontarlo, l’esame degli esami a febbraio, per forza. Ma febbraio è ancora lontano, il 30 ancora leggero a darmi fiducia, Natale ancora alle porte con le sue promesse di serenità sognante.
E ora vado a vestirmi per la cena della vigilia da zio…

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