sabato 15 gennaio 2011

Capodanno a due strati

Direi di fare un passo indietro, però, e tornare alla fine dell’anno per raccontare il mio Capodanno perché… be’ ne vale la pena.

Carico di ansia e d’attesa, il 31 dicembre ha sempre un odore, un sapore, una consistenza speciali che si tocca con mano, nell’aria, fin dal mattino e che va via via acuendosi con la scesa delle tenebre. Immagino sia la manifestazione delle adrenaliniche attese di ognuno a insaporire l’etere e foggiarlo di drappi e merletti ariosi. Non potrebbe essere altrimenti, dopotutto, se in una giornata normale, la stragrande maggioranza delle persone sospira annoiati ed esausti pensieri, a capodanno l’apparato respiratorio della stessa stragrande maggioranza di persone, respira a un ritmo più elevato espirando attesa e adrenalina: i bambini perché gli adulti sono eccitato e subodorano la festa; i ragazzini per i botti da sparare; giovani di ogni sesso ed età per la possibilità di tarantolare le chiappe e di sbrillarsi un po’; il vecchino che assapora la speranza di vivere una giornata diversa; il goloso che sogna il lauto banchetto; la cuoca che si affanna nella preparazione del lauto banchetto; la perfetta padrona di casa che vuole che tutto vada alla perfezione; gli invitati che si fanno belli; la tipa che si prepare dall’alba per essere super figa; la donna che non vede l’ora di sfoggiare il completino intimo rosso nuovo nuovo; l’uomo che non vede l’ora di montarla; chi conta i minuti che lo distanziano da una festa o un concerto; il proprietario di pub/ristorante/discoteca che si lecca le mani al pensiero dei soldi che incasserà… Insomma più che a Natale molte più persone sperano di divertirsi a fine anno.

E poi…
E poi ci sono un pugno di nefandi esseri informi, che compiono l’indefinibile peccato di disinteressarsi del Capodanno. Esseri demoniaci rinchiusi nei loro bozzoli di nerume e lerciume, che non puoi avvicinare perché emettono raggi di negatività che se ti colpiscono…guai diventi come loro: sfigato!
Trattasi in realtà di persone sole che raramente non hanno vero interesse per il Capodanno, solo non sanno come e con chi festeggiarlo adeguatamente quindi si rinchiudono in se stessi per non eliminare se stessi dal mondo.
Io sono una di quelli.
Era preparata alla tregenda di sensazioni tristi e malinconiche, se non di disperazione che avrebbero dovuto attanagliarmi come ogni Capodanno. In realtà non è stato poi così tremendo: la tregenda non è esplosa del tutto. Si è manifestata solo tardivamente, in seconda serata con un groppo alla gola che non andava né giù né su, occhi leggermente brucianti e il desiderio incontrastato di essere stretta tra le braccia di qualcuno mentre fuori imperversa la festa.
Per il resto della serata ho lanciato strali contro raiuno e i suoi “Coglioni Canterini”, ho leggiucchiato, ascoltato i Guns’n roses e mi sono goduta il lauto banchetto che mamma ha preparato: non lo elenco, ma gli agnolotti all’aragosta sono una bontà tale da meritarsi una citazione!
Poi mio fratello è uscito con i suoi amici, mia madre è uscita con le sue amiche, mia sorella se la spassava a Roma con amici e amiche.
E io a casa, più sola della solitudine.
Il senso di nausea era troppo incipiente per farmi scordare tutto mangiando ancora. Ho cercato di stordire con lo spumante i cattivi pensieri, ma quelli tornavano a galla sotto forma di ricordi di quelle poche volte in cui uscii la notte di Capodanno a festeggiare con le mie ex-pseudo-amiche e si trasformavano nell’ipotesi di cosa stessero loro facendo e quanto si stessero divertendo con i loro nuovi amici. Qualche lacrimuccia stemperata dalla salvifica scrittura, arcigna e cinica quella notte scrissi a raffica e poi, a letto. C’è di buono che lo spumante aveva stordito non i ricordi, ma me e mi abbioccai quasi immediatamente.

Ma il Capodanno non perdona. Infligge ferite troppo profonde che, attutite dalla morfina dello spumante, riprendono a sanguinare il giorno dopo e si rimargineranno con fatica e sofferenza.
Due giorni dopo erano infatti ben lungi dal cicatrizzarsi (del mio primo Gennaio 2011, parlerò nei prossimi giorni) e le sentivo pulsare mentre passeggiavo per i viali del mio paese.
Senza rendermene conto stavo percorrendo quel reticolo di strade in cui sono situati pub e discoteche e locali che so essere stati i più gettonati questo Capodanno. Lo so perché l’ho letto sui vari resoconti di facebook e perché mio fratello e alcuni miei cugini vi hanno partecipato.
E che fossero state strade protagoniste solo qualche ora prima, di certo si vedeva dallo stato in cui aiuole, marciapiedi e asfalto versavano: c’erano lattine e bottiglie di spumante, birra, whisky , rum, jack daniels, ovunque mi voltassi, accostate ai muri, rovesciate sui marciapiedi, frantumate in strada, in bilico sui muretti, infilate in buchi o aste di ferro; centinaia erano i bicchieri di carta ce n’erano addirittura in fasci interi ancora incartati nelle confezioni da supermarket, ma la maggior parte erano quelli trasparenti con cannuccia nera, tipici da cocktail; piattini di plastica con forchette lasciavano intuire il passaggio fugace di dolci al cioccolato e panna se non erro; qualche scarpa e ho contato anche tre sciarpe; ho evitato invece di contare i getti di vomito in ogni dove, perfettamente riconoscibili a distanza; e ho individuato una confezione di siringhe, non so quanto inerenti a quella sera ma nuova e il contenuto, ancora incartato, era sparso per terra, ne avranno usata solo qualcuna.
Comunque tutto questo me lo aspettavo, magari non le siringhe…
Quello che non mi aspettavo era di imbattermi in questo delirio di residuo di goliardia e festa nella strada isolata, neanche un cane è passato (era anche la domenica dopo l’1 gennaio, quindi, comprensibile…). Pertanto io ero lì, sola, a dover fare i conti col bel Capodanno altrui e col mio schifosissimo. E poi non mi aspettavo le bustone del Mac Donald’s con contenitori di bibite, panini e patatine disseminati ovunque. Mio fratello mi aveva detto che il Mac sarebbe rimasto aperto tutta la notte, ma non immaginavo avrebbe fatto tali affari, invece pare che la gente uscita dai locali si sia fiondata lì per dolci o hamburger, d’altronde si trova proprio lì dietro.

Allora, ho fatto una cosa. Non mi congratulo con me stessa di questo, certo. In realtà credo che sia una cosa un po’ malata.

Sono andata a comprarmi un milkshake al cappuccino al Mac Donald’s e l’ho bevuto accovacciata su un balcone di cemento di una casa in costruzione vicino al rimasuglio di quello che sembrava un vero festino. C’era una confezione di piatti di plastica aperta e usata a metà e i piatti usati, alcuni con resti di torte, croissant, patatine e ketchup e maionese, erano posti in circolo, erano 8 quindi si presuppone che la compagnia fosse di almeno una decina di membri, certo non puliti perché avevano lasciato tutto lì. C’era la busta del Mac Donald’s al centro e involucri di panini, patatine, bibite, gelati a iosa. C’erano due bottiglie di spumante, e una di whisky, ma discosta, poggiata al muro della casa. Una lauta cenetta notturna non c’è che dire…

Ho centellinato il mio milkshake, lasciando penzolare le gambe dal semi-balcone, immaginando la scena della compagnia di ragazzi riunita a mangiare e bere e ridere e scherzare. E’ stato come se la visualizzassi sul serio, se il gusto zuccheroso del milkshake, fosse lo stesso sapore sorbito da loro, lo stesso sapore di una notte indimenticabile che mai ho avuto e mai avrò. Mi sono dimenticata dov’ero e chi ero, sono diventata parte di quel gruppo, in quella notte con stelle artificiali, dalla musica confusa e attutita proveniente dalla discoteca sotterranea e l’umido della risacca marina a giungere fino a noi. Ho partecipato ai discorsi, ho riso delle battute, ho battuto le mani per …qualcosa. Ho scambiato il mio Big Mac con un Cheeseburger, ho mischiato Coca cola e spumante, ho mangiato gelato al ketchup.

Poi ho finito il milkshake, con l’ultimo granello di zucchero s’è sciolta anche la magia, e sono tornata io, sola, su un semi-balcone freddo, pieno di spazzatura, in una strada deserta, nel primo pomeriggio del 2 gennaio 2011.

Ho lasciato il bicchierone del milkshake lì, con l’altra roba, accostato alla bottiglia di spumante, sopra un cartoccio di panino. Come se fossi stata davvero lì quella notte. Così, per finta, una parte di me c’era davvero! Chi ha visto la scena, ha notato il bicchiere del milkshake come parte del tutto, non pezzo isolato, postumo, estraneo, fuori luogo.
Sono tornata a vedere il giorno dopo e quello dopo ancora, per qualche giorno è rimasto tutto lì, intatto.
E io ho potuto per un po’, godermi l’illusione di avere degli amici e di aver avuto il mio Capodanno speciale.

2 commenti:

  1. ora leggevo e non ricordo il mio capoddanno..io non ricordo più un sacco di cose...quando niente ha importanza spesso non si ricorda tanta parte di vita che...scivola semplicemente via senza un perchè...SENTIRE...è questo che conta...RICORDARE....vuol dire esserci...almeno per se stessi....ecco...con l'aiuto di qualcuno ho ricordato...pensa...qualsiasi cosa io abbia fatto che importaza ha...se l'ho dimenticato è stato come non esserci...neanche con amici immaginari...io non c'ero per me!

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  2. Neanche io c'ero, ho cercato di essererci in un modo forse malato che uso troppo, forse. Non ricordi semplicemente quello che non serve ricordare e a volte è meglio, + spazio per quello che serve quando arriverà...

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