giovedì 13 gennaio 2011

...e rinasco più bella (e implume) che mai


Risucchiata dal vortice delle feste, ho latitato per questa prima porzione di anno con la mente annebbiata. E’ arrivato ora il momento di riprendere le redini del comando su l’altra me e gestire i ribelli pensieri maligni che maledicono la mia esistenza.
Non facile.
Ero prigioniera dell’altra, ostaggio di ingordigia e baccanali peccaminosi, spersa tra i fluidi ammalianti delle festose coccarde che hanno liquefatto ogni mia forza di volontà, ogni tentativo di strenua resistenza.
Sto faticosamente cercando di ritrovare me stessa, ma tutto ciò che sono riuscita a racimolare è uno smunto e pallido riflesso di una me stanca, che arranca verso non sa più bene cosa e forse mai lo ha saputo.
Credo di aver capito perché rispetto agli altri miei coetanei io sono indietro, io resto sempre un passo o più sotto. Perché il mio percorso prevede ogni volta una lotta con me stessa che agli altri è, probabilmente, quasi sicuramente mi permetto di osservare, risparmiata. Io perdo tempo a ricostruirmi, dopo ogni sconfitta (e sono tante le sconfitte), dopo ogni scalfittura, pezzo per pezzo per pezzo, cercandolo nell’oblio che mi circonda e con mano tremante rimettendolo al proprio posto, mosaico dissestato, rigenerando l’asse di un equilibrio precario su cui arrancare ancora un po’, prima di sbriciolarmi nuovamente in migliaia di pezzi.
E questo richiede tempo. E io ne ho bisogno. Ma gli altri non capiscono. Nessuno può capire.

Ho veramente passato giorni e notti da incubo, sola sola sola dannatamente sola, tormentata da vicino dai miei demoni più caparbi. Stavo impazzendo e non riuscivo a trovare una via di fuga. L’unica che mi si è presentata, unica e scontata sempre lì valida e presente, è la solita mattinata sulla spiaggia semideserta. E un inverno che non c’è, africano e solo in parte veleggiato da un infido vento freddo, me lo ha concesso. In realtà anche ieri pomeriggio ho fatto una rapida sortita, ma il sole cala presto, la notte ombreggia il mare prima che i monti e ho solo rimediato un mal di testa per l’umidità e un vorace appetito stimolato dall’odore del mare.

Stamattina invece ci ho passato cinque ore nette nette.
E’ il mio mare, ritiratosi dopo giorni di mare grosso, dalla spiaggia disseminata di fiumiciattoli oblunghi, rami e tronchi, bottiglie e carte di dolci nonché rimasugli di botti di Capodanno. Devono aver festeggiato in spiaggia…beati loro. Me la immagino la mia spiaggia, deserta e percorsa solo da agenti atmosferici e qualche pennuto, ricca di baldoria e fuochi d’artificio, di baci, di coppie che si rincorrono, di falò che lambiscono il buio, di risa e tuoni artificiali. Posso solo gustarla nella mia immaginazione… così bella anche allora, così diversa…

E’ come un dipinto mai sbiadito, lo stesso mare che ho lasciato in autunno, stesso paesaggio con ogni elemento incastonato al punto giusto affinché ognuno di essi, in successione accurata, come i  tasti di pianoforte premuti in esatta sequenza, scateni, suggerisca la stessa melodia di sensazioni. Non sono pescatori ottuagenari che solcano con lo sguardo stanco l’azzurro alterno delle loro stagioni, sono i miei ricordi che si attorcigliano alle loro reti, che scalano le loro canne come pesci fantasma e mi richiamano come sirene; non è il solito sub che audace esplora abissi in ogni stagione seguito pigramente dalla sua boa stinta, ma il mistero del mare che mi sommerge ad ogni sortita sulla costa; non la risacca che amplifica il suo sciabordare e lo ripete all’infinito al punto da farmi desiderare di aver portato con me l’mp3 per non doverlo ascoltare ancora e ancora e ancora, ma l’eco delle storie che si sono affacciate alla mia mente durante le passeggiate; non la bambina che svicola dal controllo materno e si dirige speranzosa verso le onde, ma i miei desideri che ridono musicali e fugaci; non la sabbia dorata, ma un deserto d’argento che restituisce i miei passi alla moria notturna della’alta marea; non i gabbiani in volo stridente e compatto, ma la mia solitudine accentuata dal loro vivere in simbiosi; non il mare ballerino e turchese, ma la malinconia di sempre; non lamine di luce che sfarfallano accecando la vista e impreziosendo il golfo dove il sole sbatte allo zenit, ma la speranza e la forza che metto in ogni passo, per superare il deserto di dune, per vedere se dietro una di queste c’è finalmente la terra promessa, assetata, affaticata, assonnata e stordita da un sole di Calabria troppo dorato, troppo alto, troppo caldo e troppo bello per essere un sole d’inverno, a illuminare una spiaggia ora deserta in ogni sua rientranza, tranne che per la mia inutile e trascurabilissima presenza.

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