giovedì 13 gennaio 2011

Affondo, sfondo, sprofondo...


Come abbondantemente e brillantemente (blog mio, giudizi discutibili e amorali miei) illustrato nel precedente post, il Natale perfettamente orchestrato per fagocitare ogni tipologia di essere nella cultura occidentale, ha risucchiato anche me. Niente religiume o buoni propositi. Molto altro, soprattutto l’altro che stinge il risvolto della medaglia del Natale.
Famiglie e amici riuniti incentivano enormemente il senso d’abbandono e di disperazione, di inadeguatezza e fallimento. Non solo mio, tant’è vero che il picco di suicidi raggiunge il massimo grado in concomitanza con le festività di fine anno: di fronte alla gente che si diverte più o meno scioccamente, di fronte alle manifestazioni di amore e affetto più o meno vere, chi è solo tutto l’anno è più solo durante le feste. Una cassa di risonanza luccicante e vociante glielo ricorda ogni attimo. Il che unito al resoconto dell’anno trascorso mai meraviglioso per gente come me, getta il povero malcapitato nella disperazione più sconfinata, nella sconfitta più incorreggibile.

Il mio modo di affrontare il tutto è lasciarmi andare all’afflizione, non combatterla a denti stretti come faccio o tento di fare durante tutto l’anno, ma lasciare che lei abbia successo. Abbandonarmi ai pensieri più macabri e ai resoconti più infruttuosi, paragonare lo squallore mefitico della mia esistenza con lo splendore d’abbondanza di quella di miei coetanei, evidenziare i contorni desolati delle mie periferie. Il tutto non senza un cinico, macabro piacere masochista.
Dopodiché, fottermene.

Se combattessi con questi pensieri, le feste non sarebbero diverse dal resto dell’anno, vivrei anche queste in una sorta di filo di rasoio estenuante e il senso di fallimento e la solitudine, davvero diverrebbero insostenibili. Ma neanche porre loro alcun freno è auspicabile, perché finirei come il poverino che si è suicidato dagli scogli di P.G. verso i flutti gelidi e tumultuosi dello Ionio, la vigilia di Natale (e pensare che io e i miei cugini eravamo stati su quello stesso scoglio a ridere degli schizzi di schiuma che ci raggiungevano, giusto qualche ora prima…il pensiero che forse, forse avremmo potuto, non so in quale modo, ma in qualche modo, aiutarlo, mi tormenta…).
Quindi opto per una via di mezzo: allento il lazzo dei pensieri malefici e li lascio imperversare per un po’, rosicchiare i bordi della mia mentre e infuriare nel mio stomaco, sconvolgere il ritmo del mio cuore, e poi li blandisco stordendoli di melense favole disney, cioccolatini tutti i gusti + 1, panettoni, pignolate, frittelle, zeppole, dolcetti, croccanti alle mandorle, pandori, pistacchi, nocciole, noccioline, torroncini,torroni, biscotti allo zenzero, al miele, cenoni e pranzoni, un sacco di coca cola per annichilirli e uno spruzzo di spumante e bayles e birra qua e là per rimbambirle e assopirli ben benino. Bulimia che si riappropria di me senza mezzi termini e con mal di stomaco da star male, perenne senso di nausea e necessità di vomitare che trattengo perché più sofferenza mi causa, più compenso il piacere della cioccolata; più sofferenza mi causa più i pensieri si pascono beati e non mi tormentano troppo; più sofferenza mi causa più compenso il mio essere una stolta, inutile, perfetta fallimentare ragazza.
Per un po’ almeno, il vuoto s’è chetato, il buco è stato riempito. Ora le feste vanno via e cosa si lasceranno dietro solo il tempo me lo dirà. Sapevo, conoscevo le conseguenze disastrose cui sarei andata incontro dopo l’Epifania. Ma non me ne importava o, meglio, le visualizzavo con una certa infima malagrazia, cinicamente beffarda: “mi farai male lo so, ma intanto smetto di pensare che sono niente per un po’, smetto di sentirmi feccia perché il panettone ottura le orecchie e non sento i miei pensieri, perché la cioccolata delizia e ammansisce il vortice di nero oblio che mi compone”.
Il punto è che ora il buco è reso più grande dal senso di colpa per aver vanificato mesi di dieta e sacrifici e per la paura di poter perdere il controllo di me stessa e non ritrovarlo più, di cedere alle moine dell’altra me sazia e pingue dopo le abbuffate natalizie…

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