Dalla prima all’ultima riga la protagonista, tale Ana Steele, ha
il suo bel daffare nel raggiungere i
profondi recessi di
psiche, cuore, culo (nel libro indicato con
“là”), anfratti vaginali (nel libro altrimenti detti “lì”), anima, viscere,
budellame vario. Alla fine di tutto quel fremere/sciogliere/tremare/colpire in
quel popò di
profondo, ne esci con le viscere belle che squagliate e non ti
sogni in alcun modo di tacciare nuovamente il libro di superficialità.
Ma siccome io non sono così
profonda come Ana Steele, lascio che sia la sua voce a fornire un assaggio:
"...e, nel profondo, la masochista che è in me vuole
vederlo."
"Quest'uomo
mi rivuole, e nel profondo della mia anima sboccia lentamente una gioia
dolce.."
"Nel
profondo del mio cuore si risveglia la gioia.."(sigh)
"..e nel
profondo delle mie viscere so chi è." (è risaputo che le viscere sanno)
"..e i
muscoli nel profondo del mio ventre rispondono."
"..e nel
profondo della psiche, la mia dea interiore si sveglia…”
"La sua
carezza si propaga dentro di me, nel profondo..." (ri-sigh)
"...e
dentro, nel profondo, mi sento svuotata." (pure le viscere sono scappate)
“…è complesso e
difficile, ma nel profondo so che voglio lasciarlo…”
“E mi colpisce
nel profondo la consapevolezza…”
“Una dolce
trepidazione, calda e pesante nel profondo del mio ventre.” (mi chiedo quale
parte del ventre è quella profonda?)
“So, nel
profondo di me stessa….”
E così via, meglio non sapere le cose che Ana sa nel profondo
di sé stessa. Lasciamole lì quiete quiete.
Una mozione la merita, invece, la sua “dea interiore” a cui
ella fa perenne riferimento per indicare i propri stati d’animo. Funziona così:
qualora Ana abbia un turbamento o un pensiero - il che capita spesso perché lei
è intelligentissima e, chettelodicoafare, profonda -, non lo esprime mai
direttamente ma sempre tramite questa smaccata copia di sé stessa che, a
seconda dei casi, ancheggia sui tacchi, fa capriole, prega, balla il tango o fa
yoga, e per il resto del tempo se ne va a zonzo tra i suoi organi vitali.
Non è meglio precisato perché trattasi di una “dea” visto
che non ha nessun atteggiamento divino, ma io che ne posso capire? Sono cose
che stanno “nel profondo” e io il profondo non ce l’ho. Quindi lascio di nuovo
parlare Ana:
”La
mia dea interiore è in ginocchio, con le mani giunte in segno di supplica.” (è
una dea e quindi prega, ovvio)
“La mia
dea interiore stringe gli occhi a fessura e mi guarda pensierosa.”(ahi ahi)
“La mia
dea interiore annuisce con vigore, concordando con me.” (l’abbiamo scampata)
“La mia
dea interiore si fa attenta e prende nota.” (nelle viscere hanno i taccuini)
“La mia dea interiore ride forte, con la
testa buttata all’indietro e io cado in ginocchio davanti a lui” (l’ha
sbilanciata? No, sinceramente, non ho capito)
“La mia
dea interiore sta facendo un triplo volteggio sulle parallele asimmetriche.”
(sono cose che si fanno “nel profondo”)
“La mia
dea interiore è al massimo della libidine”
“La mia
dea interiore ha trovato la voce e sta urlando” (non sappiamo quando l’aveva
persa, un piccolo giallo, lì tra le viscere)
“La mia dea
interiore si sveglia di soprassalto tutta scarmigliata, come se avesse appena
concluso una serata rovente”
“La mia dea
interiore sta saltellando come una bambina di cinque anni”
“E’ come se
avesse una linea erotica diretta con la mia dea interiore, il che, ovviamente,
è vero” (questo non lo commento)
“La mia dea
interiore si produce in un veloce arabesque.”
“La mia dea
interiore annuisce con vigore e mi dà il gomito.” (neanche questo commento)
“La mia dea
interiore batte i piedi e fa il broncio, con le braccia conserte come una
bambina arrabbiata”
“La mia dea
interiore si mette una rosa tra i denti e inizia a ballare il tango”
“La mia dea interiore mi fa il broncio
provocatoriamente.” (il broncio lo fa di continuo ma qui lo fa
“provocatoriamente”)
“La mia dea
interiore è avvolta in un boa di piume rosa e diamanti e cammina impettita con
un paio di scarpe da sgualdrina.” (notare i dettagli della descrizione)
“ La mia dea
interiore getta la testa all’indietro in estasi e lui viene, urlando nella mia
bocca.” (urlando nella sua bocca…pensa come rimbomba tutto, lì, nel profondo).
Non le posso scrivere tutte perché dovrei trascrivere mezzo
libro.
Ora, la ragione principale per cui mi sono messa a leggere
tutte queste 90mila sfumature di cagate è che dicevasi esserci non troppi
velati riferimenti a scene di illibato bondage e siccome della materia non ne
so molto, ero relativamente stuzzicata dall’idea di capirne qualcosa (anche se
probabilmente gli harmony porno sulla materia non mancano, ma non mi è mai
passato per la testa di perderci tempo finora, oh che ve devo dì?!).
Il problema è che di bondage non ce n’è neanche a pagarlo
oro! Almeno nel primo libro c’è un crescendo di attesa che ti spinge ad andare
avanti, qui neanche quello: Mr. cinquanta sfumature di nero è diventato un
pupazzetto rosa che passa il tempo a dire all’amata quanto è perfetta e quanto
la desidera e quanto la ama e bla e bla e bla bla bla. E io che mi aspettavo del
sano sesso malato, mi sono dovuta sorbire seicento pagine di menate e
accontentarmi al massimo di stantie scene di sesso normale, con gli amplessi “nel profondo”
di lei e lui che puntualmente urla il suo nome durante l'orgasmo! Ma vi pare?
Il resto del romanzo:
- La “bella”
storia d’amore non è né bella né storia perché i due si vedono e si
innamorano senza un perché;
- Lui che
è “la quintessenza della bellezza” più candida, ovviamente;
- Lei
che si ripete perché quel dio greco è suo visto che lei è una cessa;
- Lui
che le dice quanto è meravigliosa e quanto la ama;
- Lui
che non è più bondage perché Ana ha compiuto il miracolo, ha salvato il
peccatore.
Ovvero cliché per imbonire gli allocchi e nulla tensione sessuale,
ce n’è di più in Harry Potter, non scherzo.
Sarà scappata via, insieme alle viscere...
Vi diranno:
"E' il capolavoro della letteratura chicana!"
"E' uno straordinario intreccio di storie e favole e genti e altre storie dai profumi messicani!!"
"E' l'America che si tinge di Messico per tornare a essere America ma disamericanizzata!!!"
....e così via, con un incremento del numero dei punti esclamativi proporzionato alla grandeur della cazzata di turno.
Non che siano cazzate del tutto campate in aria. Hanno una loro raison d’etre, perché fanno effettivamente parte degli intenti della scrittrice, pur restando cazzate. C’è infatti la spiacevole sensazione che il romanzo sia solo una serie di intenti letterari e che questi restino spiacevolmente scissi dalla trama o al contrario, che vi siano forzati dentro regalando una sonnolenta sensazione di pacchianeria.
L'intento base della Cisneros è quello del romanzo di formazione, in cui le vite dei numerosi personaggi della famiglia Reyes s'intrecciano ineluttabilmente, come la trama di un rebozo messicano, lo scialle intrecciato color caramello che dà il nome al suggestivo titolo.¹
Il problema è che più che numerosi personaggi ci sono numerosi nomi, la cui storia di ognuno risulta vaga, ripetuta, inutile, abbozzata e meno male perché tanto non succede niente che non sia già successo al personaggio principale o che sia degno di essere narrato. Più che una costellazione di storie, Caramelo è uno sbrodolamento di parole ripetute e imbellettate, al punto che l’intreccio di “pure storie” (puro cuento) pare sia lì solo per dare un senso a qualche bella frase o bella filosofia del tipo:
“Può il pianto aiutare a far passare il dolore? Un pochino, ma non sempre”;
“La moglie non capiva niente di arte, di come creando qualcosa ci si salva dalla morte”;
“Come in tutte le guerre a prosperare non sono le persone migliori, ma quelle più furbe e dure di cuore”.
L’intento secondario è nella falsariga del genere letterario sudamericano²: grande storia di una grande famiglia che si dirama nei secoli, tratteggiata dagli sconvolgimenti storico-politici, arricchita dalla costellazione delle metastorie dei numerosi parentes che si susseguono negli anni, intrisa di quel realismo magico – emblema della tradizione sudamericana- che ammanta le esistenze di magia e i destini di misticismo.
Alla Marquez-sbarra-Isabelle Allende, per intenderci. Scrittori a cui la Cisneros è stata gratuitamente (è il caso di dirlo) paragonata, ma con i quali, secondo il mio modesto parere e almeno per quanto riguarda questo portentoso romanzo, ci azzecca come i Beatles con i Modà. Se non per intenti, ripeto: il realismo magico non ammanta la storia, è richiamato all’attenzione ogni tanto in modo tremendamente forzato e sciatto, per la serie “ehi non dimenticatevi di me, ci sono anche io!”. Per non parlare del registro di narrazione che improvvisamente cambia in un discorso diretto con un fantasma e fai una fatica boia a capire che succede e di chi sia quella voce. In altri casi cambia il punto di vista e solo il grassetto te lo rivela, perché l’apporto di questa new entry alla storia, è assolutamente inscindibile dal resto. Il che è sempre sinonimo di sciatteria letteraria e scrittura autoreferenziale.
Terzo intento la mica tanto celata ambizione a roman à clef, (romanzo a chiave) e anche in questo caso non si vede mica il tentativo di emulare Marquez e la Allende, eh!
Ma mentre nel loro caso ("Cent’anni di solitudine" e "La casa degli spiriti") la scelta si risolve nei fini sensati di denuncia al sistema politico, propaganda alla resistenza comunista, rivelazione degli orrori dei regimi totalitari o delle vicissitudini di un personaggio realmente esistito, in Caramelo è solo la biografia dell’autrice stessa a essere celata dalla trama. Anche in questo caso è l’intento che viene prima ma non si risolve. Non sarebbe il primo romanzo in cui la protagonista è l’alter ego dell’autrice. La spiacevole sensazione è che l’autrice, dal suo bello sgabello americano, abbia cercato di romanzare la sua vita sparando una serie di clichè sui messicani, pur restando ben piantata sul suolo americano, lavorando, mangiando e vivendo in America. Dei messicani ne esce nient’altro che una serie di macchiette smaccate e schizofreniche, cha sbraitano e si infilzano le spalle a vicenda tra un momentaneo festaggiamento e l’altro.
Ah e mangiano.
Perché non appena può, il romanzo diventa un elenco di dolci e varie specialità gastronomiche messicane. Decine e decine di succulenti frutti, caramelle, pietanze a base di cacao e altri ingredienti a me completamente sconosciuti posti in serie, uno dopo l’altro. E visto che annoia da cima a fondo, c’è di buono che almeno ti fa venire fame. L’unica cosa che ricordo volentieri è l’immagine mentale di questi dolci a me sconosciuti e del loro probabile gusto.
Se poi proprio volete trovare una nota positiva, cercatela nella scrittura, perché nonostante in 460 pagine non ci sia scritto niente degno di essere letto, almeno è scritto dignitosamente, in maniera fluida. Lo stile non è portentoso e metafore e alambicchi li trovi in ogni pagina. Ma considerato che non dice niente, lo dice in maniera straordinariamente scorrevole.
L'intreccio di storie tanto millantato è un susseguirsi di parole che non trasmette altro se non il senso a se stente di queste. E' un intreccio che non si realizza neanche sulla carta e tu prendi atto di queste parole, ma non ti lasciano altro. Finito il libro non puoi fare altro che star lì a pensarci un po' - che magari sei tu il problema e qualcosa ti è sfuggito -, ma la conclusione alla quale giungerai sarà una soltanto:
"Sì.
E quindi?".
¹ Suggestivo titolo che in realtà sta lì solo in quanto, appunto, suggestivo, perchè c'entra nella storia come i cavoli a merenda. Se escludete il colore del rebozo alla cui trama di fili colorati viene paragonato l'intreccio dei personaggi, non trova più spazio sulla ribalta della scena. Ma anche in questo caso è ambiguo.
² Che poi a essere onesti il Messico è parte dell'America centrale e non Latina e solo una parte di esso appartiene al territorio americano. E' letteratura chicana quella della Ciseneros, che molti l'annoverino tra quella sudamericana, è solo per i loro presunti punti stilistici comuni. E per l'analogia storica e culturale nonchè la vicinanza delle regioni. Questo solo per doveroso chiarimento geo-culturale: visto che mi sono impegnata tanto a scrivere una recensione che nessuno leggerà, esageriamo!