lunedì 25 ottobre 2010

La minaccia dei libri in fragranze di biscotto

Non mi sono amici oggi i libri.
E sì che sono gli unici compagni che ho sempre avuto. Gli unici sempre presenti, gli unici su cui ho sempre potuto contare e che non mi hanno mai abbandonata o rifiutata. Delusa qualche volta, annoiata raramente, ma mai come ora sono stati tanto beceri e minacciosi. Non muoiono i libri, non ti si ammutinano contro, non ti giudicano. Ti avvolgono in spire immaginifiche e ti fanno sprofondare nel loro incantesimo. Ti accolgono sempre. Accolgono chiunque voglia fare la loro conoscenza senza distinzione alcuna. Loro la mia ancora di salvataggio, la mia riserva di amore, amicizia, solidarietà e avventura, ora mi fissano biechemente dal tavolo su cui li ho accatastati in due colonne malferme: da una parte le letture prossime, che avidamente mi invogliano a perdermi in mondo di lettere e parole; dall’altra quelli minacciosi e oscuri universitari che attendono che li apra e li studi. Aggressivi, infidi mi chiamano per ricordarmi la mia incapacità latente, la mia inadeguatezza rispetto agli altri che con tanta costanza e serenità li affrontano per abbatterli. Ne ho preso uno, sfiancata dalla fissità silente e perpetua del loro sguardo. Giace aperto davanti a me, i fogli ondeggiano incerti come le ali di una farfalla antica che rilascia nella mia stanza l’odore della biblioteca da cui il libro proviene.
L’unico posto che amo dell’università è quella biblioteca tra i cui scaffali ho passato gran parte di questi anni tormentati, tormentandomi ancora e ancora di più, alla ricerca di qualcosa senz’altro, ma senza sapere cosa sia, né come trovarlo. Forse questo è uno di quei casi in cui conta più la ricerca che la conquista del traguardo. O forse sbaglio a cercarlo in biblioteca questo qualcosa, ma perché è l’unico ambiente in quell’ammasso di cubi e di conoscenze che è l’università, in cui il mio stato d’animo si avvicina a quello che i profani chiamano “felicità”? Una biblioteca è senza tempo è senza limiti, è come una macchina del tempo e della fantasia e dello spazio tutto in uno. E’ sospesa in un’altra dimensione. Tutte le biblioteche del mondo sono sospese in un’altra dimensione. Devo vivere in quella dimensione per trovare il mio qualcosa? Devo vivere nei libri per essere felice? E’ vivere questo o è solo una proiezione di vita? O è la vita tutta ad essere una proiezione o io posso sopravvivere solo proiettandomi in una vita sbagliata…
Intanto “Psicologia della forma” di David Katz, vibra sospeso davanti a me, accusatore e rassegnato, confondendo il suo afrore con quello dei biscotti sfornati da poco che una parente ha ci ha appena portati, un odore caldo e corposo che mi riporta senza controllo a un’infanzia di timide domande, di gelate speranze, di stufa ardente in cui tenue scoppietta il fuoco mentre, febbricitante e arrotolata in raso celeste trini merletti e taffetà, da una bacchetta magica rudimentale lancio incantesimi che si sciolgono in coriandoli dai colori vivaci, mentre fuori altri bimbi giocano un carnevale a me quell’anno precluso.
Hanno lo stesso sapore di allora i biscotti, quando li utilizzavo come braccialetti e solo dopo che avevano assolto il compito di conferirmi una regalità da matrona li divoravo, centellinandone il gusto atavico, lo stesso che provava mia nonna da bambina quando li mangiava, salato, solido e olioso, dolce di finocchio e profumato di forno a legna. Non riesco a smettere di mangiarli e ingoio con loro il senso di inadeguatezza che il libro di Katz continua sospingermi su nelle narici. Domani urlerò sulla bilancia, ma per ora sono di nuovo quella fatina febbricitante che rende più bello il suo carnevale con una bacchetta di carta stagnola e un biscotto dal gusto della mia terra e dei miei avi.


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