lunedì 25 ottobre 2010

Ho creato questo blog dopo aver salvato la vita a un pesce

L’ho creato perché voglio provare a scrivere senza pensare, senza censurare niente, spandendo in un oceano di pixel i dettagli della mia vita e dei miei pensieri che altrimenti andrebbero inghiottiti dall’oblio considerato che a nessuno interessano. Non che li leggerà qualcuno (a parte, forse, una persona) ma della cosa non mi importa granchè. Non mi importa granchè di nient’ altro in realtà. Voglio solo credere che questi frammenti possano dare forma a quello che sono, cosicchè io stessa se non qualcun altro, lo possa capire.

Il pesce lo salvai in quella che credo sia stata l’ultima domenica calda e assolata concessaci dallo strano, docile autunno di quest’anno, più figlio brunito dell’estate che anticamera uggiosa dell’inverno. Come da consuetudine settembrina, attraversavo il tratto di spiaggia che costeggia il mio paese: una non indifferente camminata di più di 2 km, appesantita dalla distesa di sabbia ora in dune granulose da scavalcare, ora leggera come farina in cui si sprofonda, ora rocciosa e paludata. Fatica superficiale perché amo alla follia il mare in questa stagione, trasparente, immobile dalle onde canterine; il calore del sole, un solletico che spilluzzica la pelle; i tappeti di gabbiani che si alzano compatti in volo non appena ti avvicini, nuvola bianca striata di grigio che fugge a un palmo dalla tua testa; i pochi bagnanti lì giusto per ricordarti che non sei l’unica umana rimasta sulla terra; qualche pescatore; le solite umano-lucertole pronte ad accaparrarsi ogni raggio di sole disponibile, tra cui nudisti fin troppo lieti di sventolarmi davanti le loro pudenda (si cercassero una spiaggia nudista, che cacchio!); conchiglie, stelle marine, vetrini gemmati dal mare che impreziosiscono la riva dopo le mareggiate notturne.
Proprio poco lontano dalla riva trovai il mio pesciolino spiaggiato, grande come un dito d’argento, unico superstite di un piccolo banco di pesci: i suoi compagni giacevano attorno a lui, grigi, spenti, senza un anelito di pinne, sorvolati da api famaliche. Solo lui si dimenava cercando di riguadagnare la riva, le branchie che fremevano e quegli occhietti fissi, spaventosi, che hanno i pesci, velati da uan disperazione quasi umana. Non potevo lasciarlo lì, ma non potevo neanche afferrarlo con le mani perché sono una gran codarda, inoltre lui non stava fermo…Cercai qualcosa con cui poterlo prendere ma la spiaggia mi si presentò stranamamente intonsa, neanche un bicchiere di plastica fuori luogo la ammorbava! E nessun essere umano meno codardo di me nelle vicinanze, solo un branco di imbecilli qualche metro più in là impegnati a far tornare la loro automobile in strada dopo averla condotta fino in riva. Continuavano a far stridere le ruote sulla sabbia andando avanti e in retromarcia ottenendo solo il risultato di far sprofondare ancora di più la macchina nella sabbia, ma pare che la cosa li riempisse di un feroce giubilo esternato in urla belluine. Mi diressi verso la conformazione rocciosa in cui solitamentta si ammassano rimasugli di bagordi notturni e spazzatura, ma tutto quello che trovai fu un nuovo murales in cui il fumetto di un’enorme rana con corona annessa, annuncia a tutti quelli che passano di lì quanto sono coglioni. Il che è abbastanza vero, quindi niente da ridire.
Mi dovetti accontentare di un pezzo di polistirolo e corsi dal mio pesce sperando non fosse morto. Si dimenava ancora, per fortuna. Lo presi col polistirolo e lo sollevai. In realtà mi cadde un paio di volte vista la mia proverbiale imbranataggine e credetti di avergli dato il colpo di grazia sotto lo sguardo beffardo della rana-re dei coglioni. Riuscii sorprendentemente a gettarlo in acqua seppur con qualche contusione di troppo. Non so se è sopravvissuto. Secondo mio cugino che incontrai qualche metro più in là, avrei dovuto prima ossigenarlo, ma di fargli la respirazione bocca a bocca non era il caso…. Non sono un’esperta in ittica ma so riconoscere un pesce vivo se lo vedo nuotare veloce, fare due giri in tondo sbattendo forte la pinna e poi scomparire verso il mare aperto. Voglio credere che sia sopravvissuto, anche solo un giorno in più, godendosi quella parte del mio mare che non potrò mai raggiungere e portandosi dietro il ricordo, qualunque sia il modo di pensare dei pesci, di quel mostro enorme e imbranato che lo ha restituito al mare.

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