sabato 23 luglio 2011

Scrivere è una maledizione.... che salva

CLARICE LISPECTOR:
SCRIVERE

Una volta ho detto che scrivere è una maledizione.Non ricordo di preciso perché l'ho detto, e sinceramente. Oggi lo ripeto: è una maledizione, ma una maledizione che salva.
Non mi riferisco tanto allo scrivere su un giornale. Ma allo scrivere quello che eventualmente può trasformarsi in un racconto o in un romanzo. E' una maledizione perché si impone e trascina con forza come un vizio penoso da cui è quasi impossibile liberarsi, poiché niente lo sostituisce. Ed è una salvezza.
Salva l'anima prigioniera, salva la persona che si sente inutile, salva il girono che si vive e che mai si capisce a meno che non si scriva. Scrivere è cercare di capire, è cercare di riprodurre l'irriproducibile, è sentire fino in fondo il sentimento che altrimenti rimarrebbe solo vago e soffocante. Scrivere è anche benedire una vita che non è stata benedetta.
Che peccato che io sappia scrivere solo quando la "cosa" arriva spontaneamente. In questo modo mi trovo in balia del tempo. E, fra uno scrivere sincero e l'altro, possono passare anni.
Sto ripensando con nostalgia al dolore di scrivere libri.
14 settembre 1968

(Cristina) Mi ha chiesto se mi considero una scrittrice brasiliana o semplicemente una scrittrice. Ho risposto che, prima di tutto, per quanto femminile sia una donna, non è una scrittrice, ma uno scrittore. Lo scrittore non ha sesso, o meglio, li ha tutti e due, in dosi ben diverse, questo è ovvio. Io mi considero semplicemente uno scrittore, e non uno scrittore tipicamente brasiliano.
30 dicembre 1967

….E sono nata per scrivere. La parola è il mio dominio sul mondo. Ho avuto fin da bambina diverse vocazioni che mi chiamavano ardentemente. Una era scrivere.E non so perché, è stata questa quella che ho seguito. Forse perché per le altre vocazioni avrei avuto bisogno di un lungo apprendistato, mentre per scrivere l'apprendistato è la vita stessa, che vive in noi e attorno a noi. E' che non so studiare. E, per scrivere, l'unico studio è semplicemente scrivere. Ho cominciato ad addestrarmi a sette anni per avere un giorno la piena padronanza della lingua. Tuttavia, ogni volta che mi accingo a scrivere, è come se fosse la prima volta. Ogni mio libro è un debutto penoso e felice. Questa capacità di rinnovarmi completamente man mano che il tempo passa è ciò che io definisco vivere e scrivere.
11 maggio 1968
Romanzo. Sarebbe più attraente se lo rendessi più attraente. Usando, per esempio, alcune delle cose che incorniciano una vita o una cosa o un romanzo o un personaggio. E' del tutto lecito rendere attraente, solo che si corre il rischio che un quadro diventi un quadro perché è la cornice che l'ha reso tale. Se si tratta di leggere, è ovvio, preferisco ciò che è attraente,mi affatica di meno, mi coinvolge di più, mi delimita e mi avvolge. Se si tratta di scrivere, però, devo prescindere. E' un'esperienza che vale la pena di fare - anche se è un'esperienza solo per chi scrive.
11 novembre 1972
Una frase non si fa. La frase nasce.
18 novembre 1972
Non mi piace la gente che si vanta perché lavora con fatica. Se il loro lavoro fosse davvero così faticoso tanto valeva che se ne trovassero un altro. La soddisfazione che il nostro lavoro ci dà è il segno che abbiamo saputo sceglierlo.
18 novembre 1972
Quando fui invitata, con altri sudamericani, a tenere una conferenza all'Università del Texas, la scrissi come meglio potei, spiegando anticipatamente che non avevano scelto la persona più indicata per parlare di letteratura: "…oltre al fatto di non sentirmi portata per l'erudizione e per il paziente lavoro dell'analisi letteraria e dell'osservazione specifica, bisogna aggiungere che, per circostanze soprattutto personali, non posso dire di aver seguito da vicino l'effervescenza di tutti i movimenti che sono sorti e delle sperimentazioni intraprese, in Brasile come fuori dal Brasile; non ho mai partecipato, per farla breve, a ciò che si chiama una vera vita intellettuale. Peggio ancora: pur non partecipando alla vita intellettuale, avrei sempre potuto coltivare l'abitudine o il piacere di riflettere sula letteratura, ma anche questa cosa non mi è mai appartenuta. Nonostante abbia avuto a che fare con lo scrivere fin da quando mi conosco, sfortunatamente mi è mancata la riflessione sulla letteratura, ovvero il considerarla dal di fuori, come se fosse un'astrazione. La letteratura per me è il modo con cui gli altri definiscono quello che io faccio…
20 luglio 1968

Mi hanno telefonato chiedendomi praticamente di annunciare, dalla mia rubrica al mondo, vasto mondo, io che non mi chiamo Raimondo, di annunciare la nascita di una nuova istituzione: Il Club Nazionale della Poesia. Io non credo nella poesia "clubificata", penso che la poesia sia, come ogni lavoro creativo, "inclubificabile". E' semplicemente una comunione solitaria con un lettore sconosciuto, che a volte si manifesta e per un istante scalda nostro cuore stanco per la fatica di vivere.
30 settembre 1972
Ho vinto il premio per la letteratura infantile 1967 con il mio libro per bambini " Il mistero del coniglio che sapeva pensare". Mi ha fatto molto piacere, è chiaro. Però mi fa più piacere ancora quando mi definiscono una scrittrice ermetica. Come è possibile che se scrivo per i bambini sono compresa, ma se scrivo per gli adulti divento difficile? Dovrei forse scrivere per gli adulti con le parole e i sentimenti adeguati a un bambino? Non posso parlare da pari a pari? Ma, oh Dio, come tutto ciò ha così poca importanza.
24 febbraio 1968
Al linotipista. Mi scusi se sto sbagliando così tanto a battere a macchina. Primo è perché la mia mano destra è ustionata. Secondo, non so perché. Adesso una richiesta: non mi corregga. La punteggiatura è il respiro della frase, e la mia frase respira così. E se lei mi trova stravagante, mi rispetti lo stesso. Persino io sono stata obbligata a rispettarmi.
Scrivere è una maledizione.
4 febbraio 1968
Molti desiderano mettersi in mostra. Senza sapere come ciò limiti la vita. Il mio modesto essere in mostra ferisce il mio pudore. Oltre a far sì che ciò che vorrei dire già non posso più dirlo. L'anonimato è soave come un sogno. Ho bisogno di questo sogno. Inoltre non vorrei più scrivere. Sto scrivendo ora perché ho bisogno di denaro. Vorrei stare zitta. Ci sono cose che non ho mai scritto, e morirò senza scriverle. Queste per nessun prezzo. C'è un grande silenzio dentro di me. E questo silenzio è stata la fonte delle mie parole. E dal silenzio è arrivato ciò che più di ogni altra cosa è prezioso: il proprio silenzio.
10 febbraio 1968
Il contatto con gli altri individui attraverso la parola scritta è qualcosa di glorioso. Se mi fosse tolta la parola, per la quale tanto mi batto, dovrei danzare o dipingere. Una qualche forma di comunicazione con il mondo dovrei sempre averla. E scrivere è un mezzo per divinizzare l'essere umano. Com'è possibile? Com'è possibile che abbia scritto nove libri e in nessuno di essi vi abbia detto: io vi amo?
20 aprile 1968
Testi tratti dal volume "LA SCOPERTA DEL MONDO. 1967-1973" di Clarice Lispector.
(La Tartaruga edizioni, 2001)

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