sabato 11 agosto 2012

Sì. E quindi?




Vi diranno:
"E' il capolavoro della letteratura chicana!"
"E' uno straordinario intreccio di storie e favole e genti e altre storie dai profumi messicani!!"
"E' l'America che si tinge di Messico per tornare a essere America ma disamericanizzata!!!"
....e così via, con un incremento del numero dei punti esclamativi proporzionato alla grandeur della cazzata di turno.

Non che siano cazzate del tutto campate in aria. Hanno una loro raison d’etre, perché fanno effettivamente parte degli intenti della scrittrice, pur restando cazzate. C’è infatti la spiacevole sensazione che il romanzo sia solo una serie di intenti letterari e che questi restino spiacevolmente scissi dalla trama o al contrario, che vi siano forzati dentro regalando una sonnolenta sensazione di pacchianeria.

L'intento base della Cisneros è quello del romanzo di formazione, in cui le vite dei numerosi personaggi della famiglia Reyes s'intrecciano ineluttabilmente, come la trama di un rebozo messicano, lo scialle intrecciato color caramello che dà il nome al suggestivo titolo.¹
Il problema è che più che numerosi personaggi ci sono numerosi nomi, la cui storia di ognuno risulta vaga, ripetuta, inutile, abbozzata e meno male perché tanto non succede niente che non sia già successo al personaggio principale o che sia degno di essere narrato. Più che una costellazione di storie, Caramelo è uno sbrodolamento di parole ripetute e imbellettate, al punto che l’intreccio di “pure storie” (puro cuento) pare sia lì solo per dare un senso a qualche bella frase o bella filosofia del tipo:
“Può il pianto aiutare a far passare il dolore? Un pochino, ma non sempre”;
“La moglie non capiva niente di arte, di come creando qualcosa ci si salva dalla morte”;
“Come in tutte le guerre a prosperare non sono le persone migliori, ma quelle più furbe e dure di cuore”.


L’intento secondario è nella falsariga del genere letterario sudamericano²: grande storia di una grande famiglia che si dirama nei secoli, tratteggiata dagli sconvolgimenti storico-politici, arricchita dalla costellazione delle metastorie dei numerosi parentes che si susseguono negli anni, intrisa di quel realismo magico – emblema della tradizione sudamericana- che ammanta le esistenze di magia e i destini di misticismo.
Alla Marquez-sbarra-Isabelle Allende, per intenderci. Scrittori a cui la Cisneros è stata gratuitamente (è il caso di dirlo) paragonata, ma con i quali, secondo il mio modesto parere e almeno per quanto riguarda questo portentoso romanzo, ci azzecca come i Beatles con i Modà. Se non per intenti, ripeto: il realismo magico non ammanta la storia, è richiamato all’attenzione ogni tanto in modo tremendamente forzato e sciatto, per la serie “ehi non dimenticatevi di me, ci sono anche io!”. Per non parlare del registro di narrazione che improvvisamente cambia in un discorso diretto con un fantasma e fai una fatica boia a capire che succede e di chi sia quella voce. In altri casi cambia il punto di vista e solo il grassetto te lo rivela, perché l’apporto di questa new entry alla storia, è assolutamente inscindibile dal resto. Il che è sempre sinonimo di sciatteria letteraria e scrittura autoreferenziale.

Terzo intento la mica tanto celata ambizione a roman à clef, (romanzo a chiave) e anche in questo caso non si vede mica il tentativo di emulare Marquez e la Allende, eh!
Ma mentre nel loro caso ("Cent’anni di solitudine" e "La casa degli spiriti") la scelta si risolve nei fini sensati di denuncia al sistema politico, propaganda alla resistenza comunista, rivelazione degli orrori dei regimi totalitari o delle vicissitudini di un personaggio realmente esistito, in Caramelo è solo la biografia dell’autrice stessa a essere celata dalla trama. Anche in questo caso è l’intento che viene prima ma non si risolve. Non sarebbe il primo romanzo in cui la protagonista è l’alter ego dell’autrice. La spiacevole sensazione è che l’autrice, dal suo bello sgabello americano, abbia cercato di romanzare la sua vita sparando una serie di clichè sui messicani, pur restando ben piantata sul suolo americano, lavorando, mangiando e vivendo in America. Dei messicani ne esce nient’altro che una serie di macchiette smaccate e schizofreniche, cha sbraitano e si infilzano le spalle a vicenda tra un momentaneo festaggiamento e l’altro.

Ah e mangiano.
Perché non appena può, il romanzo diventa un elenco di dolci e varie specialità gastronomiche messicane. Decine e decine di succulenti frutti, caramelle, pietanze a base di cacao e altri ingredienti a me completamente sconosciuti posti in serie, uno dopo l’altro. E visto che annoia da cima a fondo, c’è di buono che almeno ti fa venire fame. L’unica cosa che ricordo volentieri è l’immagine mentale di questi dolci a me sconosciuti e del loro probabile gusto.
Se poi proprio volete trovare una nota positiva, cercatela nella scrittura, perché nonostante in 460 pagine non ci sia scritto niente degno di essere letto, almeno è scritto dignitosamente, in maniera fluida. Lo stile non è portentoso e metafore e alambicchi li trovi in ogni pagina. Ma considerato che non dice niente, lo dice in maniera straordinariamente scorrevole.
L'intreccio di storie tanto millantato è un susseguirsi di parole che non trasmette altro se non il senso a se stente di queste. E' un intreccio che non si realizza neanche sulla carta e tu prendi atto di queste parole, ma non ti lasciano altro. Finito il libro non puoi fare altro che star lì a pensarci un po' - che magari sei tu il problema e qualcosa ti è sfuggito -, ma la conclusione alla quale giungerai sarà una soltanto:
"Sì.
E quindi?".



¹ Suggestivo titolo che in realtà sta lì solo in quanto, appunto, suggestivo, perchè c'entra nella storia come i cavoli a merenda. Se escludete il colore del rebozo alla cui trama di fili colorati viene paragonato l'intreccio dei personaggi, non trova più spazio sulla ribalta della scena. Ma anche in questo caso è ambiguo.

² Che poi a essere onesti il Messico è parte dell'America centrale e non Latina e solo una parte di esso appartiene al territorio americano. E' letteratura chicana quella della Ciseneros, che molti l'annoverino tra quella sudamericana, è solo per i loro presunti punti stilistici comuni. E per l'analogia storica e culturale nonchè la vicinanza delle regioni. Questo solo per doveroso chiarimento geo-culturale: visto che mi sono impegnata tanto a scrivere una recensione che nessuno leggerà, esageriamo!

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