domenica 26 agosto 2012

Scorci

"E se invece fossi una dea, ma non sai di esserlo?"
"Se riuscissi a suonare come i Rolling Stones e a cantare come Barbra Streisand, sarei una dea di sicuro"
"Secondo me sei una dea, è solo che ti serve che arrivi un dio per dirtelo"
"E come ci capita un dio qua?"
"Chiamalo"
"Prego malissimo"
"La preghiera non attira dei, ma allocchi. Devi rabbuiarti. Magari fatti venire qualche bel tormento e vedi ti trova subito subito. Ce l'hai un bel tormento?"
"Ma certo! Non sia mai che ci facciamo mancare i tormenti qui! Tutto il resto manca, ma i tormenti..."
"Perfetto. Vedrai che arriva. Un dio non può resistere a una donna con un bel tormento".



lunedì 20 agosto 2012

Nel profondo delle viscere di Ana












 Dalla prima all’ultima riga la protagonista, tale Ana Steele, ha il suo bel daffare nel raggiungere i profondi recessi di  psiche, cuore, culo (nel libro indicato con “là”), anfratti vaginali (nel libro altrimenti detti “lì”), anima, viscere, budellame vario. Alla fine di tutto quel fremere/sciogliere/tremare/colpire in quel popò di profondo, ne esci con le viscere belle che squagliate e non ti sogni in alcun modo di tacciare nuovamente il libro di superficialità.
Ma siccome io non sono così profonda come Ana Steele, lascio che sia la sua voce a fornire un assaggio:

       "...e, nel profondo, la masochista che è in me vuole vederlo."
      "Quest'uomo mi rivuole, e nel profondo della mia anima sboccia lentamente una gioia dolce.."
      "Nel profondo del mio cuore si risveglia la gioia.."(sigh)
      "..e nel profondo delle mie viscere so chi è." (è risaputo che le viscere sanno)
      "..e i muscoli nel profondo del mio ventre rispondono."
      "..e nel profondo della psiche, la mia dea interiore si sveglia…”
      "La sua carezza si propaga dentro di me, nel profondo..." (ri-sigh)
      "...e dentro, nel profondo, mi sento svuotata." (pure le viscere sono scappate)
      “…è complesso e difficile, ma nel profondo so che voglio lasciarlo…”
      “E mi colpisce nel profondo la consapevolezza…”
      “Una dolce trepidazione, calda e pesante nel profondo del mio ventre.” (mi chiedo quale parte del ventre è quella profonda?)
      “So, nel profondo di me stessa….”

E così via, meglio non sapere le cose che Ana sa nel profondo di sé stessa. Lasciamole lì quiete quiete.
Una mozione la merita, invece, la sua “dea interiore” a cui ella fa perenne riferimento per indicare i propri stati d’animo. Funziona così: qualora Ana abbia un turbamento o un pensiero - il che capita spesso perché lei è intelligentissima e, chettelodicoafare, profonda -, non lo esprime mai direttamente ma sempre tramite questa smaccata copia di sé stessa che, a seconda dei casi, ancheggia sui tacchi, fa capriole, prega, balla il tango o fa yoga, e per il resto del tempo se ne va a zonzo tra i suoi organi vitali.
Non è meglio precisato perché trattasi di una “dea” visto che non ha nessun atteggiamento divino, ma io che ne posso capire? Sono cose che stanno “nel profondo” e io il profondo non ce l’ho. Quindi lascio di nuovo parlare Ana:

            ”La mia dea interiore è in ginocchio, con le mani giunte in segno di supplica.” (è una dea e quindi prega, ovvio)
             La mia dea interiore stringe gli occhi a fessura e mi guarda pensierosa.”(ahi ahi)
             La mia dea interiore annuisce con vigore, concordando con me.” (l’abbiamo scampata)
             La mia dea interiore si fa attenta e prende nota.” (nelle viscere hanno i taccuini)
             La mia dea interiore ride forte, con la testa buttata all’indietro e io cado in ginocchio davanti a lui” (l’ha sbilanciata? No, sinceramente, non ho capito)
             La mia dea interiore sta facendo un triplo volteggio sulle parallele asimmetriche.” (sono cose che si fanno “nel profondo”)
             La mia dea interiore è al massimo della libidine”
            La mia dea interiore ha trovato la voce e sta urlando” (non sappiamo quando l’aveva persa, un piccolo giallo, lì tra le viscere)
          La mia dea interiore si sveglia di soprassalto tutta scarmigliata, come se avesse appena concluso una serata rovente”
          La mia dea interiore sta saltellando come una bambina di cinque anni”
          “E’ come se avesse una linea erotica diretta con la mia dea interiore, il che, ovviamente, è vero” (questo non lo commento)
          La mia dea interiore si produce in un veloce arabesque.”
          La mia dea interiore annuisce con vigore e mi dà il gomito.” (neanche questo commento)
          La mia dea interiore batte i piedi e fa il broncio, con le braccia conserte come una bambina arrabbiata”
         La mia dea interiore si mette una rosa tra i denti e inizia a ballare il tango”
         La mia dea interiore mi fa il broncio provocatoriamente.” (il broncio lo fa di continuo ma qui lo fa “provocatoriamente”)
         La mia dea interiore è avvolta in un boa di piume rosa e diamanti e cammina impettita con un paio di scarpe da sgualdrina.” (notare i dettagli della descrizione)
         La mia dea interiore getta la testa all’indietro in estasi e lui viene, urlando nella mia bocca.” (urlando nella sua bocca…pensa come rimbomba tutto, lì, nel profondo).

Non le posso scrivere tutte perché dovrei trascrivere mezzo libro.
Ora, la ragione principale per cui mi sono messa a leggere tutte queste 90mila sfumature di cagate è che dicevasi esserci non troppi velati riferimenti a scene di illibato bondage e siccome della materia non ne so molto, ero relativamente stuzzicata dall’idea di capirne qualcosa (anche se probabilmente gli harmony porno sulla materia non mancano, ma non mi è mai passato per la testa di perderci tempo finora, oh che ve devo dì?!).
Il problema è che di bondage non ce n’è neanche a pagarlo oro! Almeno nel primo libro c’è un crescendo di attesa che ti spinge ad andare avanti, qui neanche quello: Mr. cinquanta sfumature di nero è diventato un pupazzetto rosa che passa il tempo a dire all’amata quanto è perfetta e quanto la desidera e quanto la ama e bla e bla e bla bla bla. E io che mi aspettavo del sano sesso malato, mi sono dovuta sorbire seicento pagine di menate e accontentarmi al massimo di stantie scene di sesso normale, con gli amplessi “nel profondo” di lei e lui che puntualmente urla il suo nome durante l'orgasmo! Ma vi pare?

Il resto del romanzo:
  • La “bella” storia d’amore non è né bella né storia perché i due si vedono e si innamorano senza un perché;
  • Lui che è “la quintessenza della bellezza” più candida, ovviamente;
  • Lei che si ripete perché quel dio greco è suo visto che lei è una cessa;
  • Lui che le dice quanto è meravigliosa e quanto la ama;
  • Lui che non è più bondage perché Ana ha compiuto il miracolo, ha salvato il peccatore.
Ovvero cliché per imbonire gli allocchi e nulla tensione sessuale, ce n’è di più in Harry Potter, non scherzo.
Sarà scappata via, insieme alle viscere...

             
     

sabato 11 agosto 2012

Sì. E quindi?




Vi diranno:
"E' il capolavoro della letteratura chicana!"
"E' uno straordinario intreccio di storie e favole e genti e altre storie dai profumi messicani!!"
"E' l'America che si tinge di Messico per tornare a essere America ma disamericanizzata!!!"
....e così via, con un incremento del numero dei punti esclamativi proporzionato alla grandeur della cazzata di turno.

Non che siano cazzate del tutto campate in aria. Hanno una loro raison d’etre, perché fanno effettivamente parte degli intenti della scrittrice, pur restando cazzate. C’è infatti la spiacevole sensazione che il romanzo sia solo una serie di intenti letterari e che questi restino spiacevolmente scissi dalla trama o al contrario, che vi siano forzati dentro regalando una sonnolenta sensazione di pacchianeria.

L'intento base della Cisneros è quello del romanzo di formazione, in cui le vite dei numerosi personaggi della famiglia Reyes s'intrecciano ineluttabilmente, come la trama di un rebozo messicano, lo scialle intrecciato color caramello che dà il nome al suggestivo titolo.¹
Il problema è che più che numerosi personaggi ci sono numerosi nomi, la cui storia di ognuno risulta vaga, ripetuta, inutile, abbozzata e meno male perché tanto non succede niente che non sia già successo al personaggio principale o che sia degno di essere narrato. Più che una costellazione di storie, Caramelo è uno sbrodolamento di parole ripetute e imbellettate, al punto che l’intreccio di “pure storie” (puro cuento) pare sia lì solo per dare un senso a qualche bella frase o bella filosofia del tipo:
“Può il pianto aiutare a far passare il dolore? Un pochino, ma non sempre”;
“La moglie non capiva niente di arte, di come creando qualcosa ci si salva dalla morte”;
“Come in tutte le guerre a prosperare non sono le persone migliori, ma quelle più furbe e dure di cuore”.


L’intento secondario è nella falsariga del genere letterario sudamericano²: grande storia di una grande famiglia che si dirama nei secoli, tratteggiata dagli sconvolgimenti storico-politici, arricchita dalla costellazione delle metastorie dei numerosi parentes che si susseguono negli anni, intrisa di quel realismo magico – emblema della tradizione sudamericana- che ammanta le esistenze di magia e i destini di misticismo.
Alla Marquez-sbarra-Isabelle Allende, per intenderci. Scrittori a cui la Cisneros è stata gratuitamente (è il caso di dirlo) paragonata, ma con i quali, secondo il mio modesto parere e almeno per quanto riguarda questo portentoso romanzo, ci azzecca come i Beatles con i Modà. Se non per intenti, ripeto: il realismo magico non ammanta la storia, è richiamato all’attenzione ogni tanto in modo tremendamente forzato e sciatto, per la serie “ehi non dimenticatevi di me, ci sono anche io!”. Per non parlare del registro di narrazione che improvvisamente cambia in un discorso diretto con un fantasma e fai una fatica boia a capire che succede e di chi sia quella voce. In altri casi cambia il punto di vista e solo il grassetto te lo rivela, perché l’apporto di questa new entry alla storia, è assolutamente inscindibile dal resto. Il che è sempre sinonimo di sciatteria letteraria e scrittura autoreferenziale.

Terzo intento la mica tanto celata ambizione a roman à clef, (romanzo a chiave) e anche in questo caso non si vede mica il tentativo di emulare Marquez e la Allende, eh!
Ma mentre nel loro caso ("Cent’anni di solitudine" e "La casa degli spiriti") la scelta si risolve nei fini sensati di denuncia al sistema politico, propaganda alla resistenza comunista, rivelazione degli orrori dei regimi totalitari o delle vicissitudini di un personaggio realmente esistito, in Caramelo è solo la biografia dell’autrice stessa a essere celata dalla trama. Anche in questo caso è l’intento che viene prima ma non si risolve. Non sarebbe il primo romanzo in cui la protagonista è l’alter ego dell’autrice. La spiacevole sensazione è che l’autrice, dal suo bello sgabello americano, abbia cercato di romanzare la sua vita sparando una serie di clichè sui messicani, pur restando ben piantata sul suolo americano, lavorando, mangiando e vivendo in America. Dei messicani ne esce nient’altro che una serie di macchiette smaccate e schizofreniche, cha sbraitano e si infilzano le spalle a vicenda tra un momentaneo festaggiamento e l’altro.

Ah e mangiano.
Perché non appena può, il romanzo diventa un elenco di dolci e varie specialità gastronomiche messicane. Decine e decine di succulenti frutti, caramelle, pietanze a base di cacao e altri ingredienti a me completamente sconosciuti posti in serie, uno dopo l’altro. E visto che annoia da cima a fondo, c’è di buono che almeno ti fa venire fame. L’unica cosa che ricordo volentieri è l’immagine mentale di questi dolci a me sconosciuti e del loro probabile gusto.
Se poi proprio volete trovare una nota positiva, cercatela nella scrittura, perché nonostante in 460 pagine non ci sia scritto niente degno di essere letto, almeno è scritto dignitosamente, in maniera fluida. Lo stile non è portentoso e metafore e alambicchi li trovi in ogni pagina. Ma considerato che non dice niente, lo dice in maniera straordinariamente scorrevole.
L'intreccio di storie tanto millantato è un susseguirsi di parole che non trasmette altro se non il senso a se stente di queste. E' un intreccio che non si realizza neanche sulla carta e tu prendi atto di queste parole, ma non ti lasciano altro. Finito il libro non puoi fare altro che star lì a pensarci un po' - che magari sei tu il problema e qualcosa ti è sfuggito -, ma la conclusione alla quale giungerai sarà una soltanto:
"Sì.
E quindi?".



¹ Suggestivo titolo che in realtà sta lì solo in quanto, appunto, suggestivo, perchè c'entra nella storia come i cavoli a merenda. Se escludete il colore del rebozo alla cui trama di fili colorati viene paragonato l'intreccio dei personaggi, non trova più spazio sulla ribalta della scena. Ma anche in questo caso è ambiguo.

² Che poi a essere onesti il Messico è parte dell'America centrale e non Latina e solo una parte di esso appartiene al territorio americano. E' letteratura chicana quella della Ciseneros, che molti l'annoverino tra quella sudamericana, è solo per i loro presunti punti stilistici comuni. E per l'analogia storica e culturale nonchè la vicinanza delle regioni. Questo solo per doveroso chiarimento geo-culturale: visto che mi sono impegnata tanto a scrivere una recensione che nessuno leggerà, esageriamo!

lunedì 6 agosto 2012

Credi che l'alba sia lì per te?


 "Ed ecco arriva l'alba so che è qui per me
Meraviglioso come a volte ciò che sembra non è
Fottendosi da se, fottendomi da me
Per quello che non c'è"
- Afterhours, Quello che non c'è



Credete davvero che quello che siete sia merito vostro?
La capacità di costruire un rapporto sentimentale, di avere successo negli studi, di costruire una carriera, di mettere al mondo dei figli, di viaggiare e vivere avventure straaaaafighe, di avere avuto mille amori, di avere centinaia di amici, di vincere medaglie alle olimpiadi, di avere talento musicale, di parlare 7 lingue, di giocare bene a pinball, di essere amati, di essere modelli di Dolce&Gabbana, di avere una dannata vita e di riuscire a viverla da essere giusto e felicissimo di essere al mondo?
Davvero ci credete? Credete che sia tutto merito della vostra sudatissima fatica? Del vostro essere speciali? Davvero credete che l'alba è lì per voi?
Allora siete dei patetici, deprecabili illusi.
Voi siete solo quello che i vostri genitori vi hanno fatto diventare.
Non c'è merito (e di conseguenza demerito) in quel siete.
Siete la lobotomia a cui la vostra storia vi ha sottoposto.
Siete il risultato dellla vostra fortuna.
O sfortuna.


domenica 5 agosto 2012

La pelle che sa di mare.

E' che tutto sa di mare.
Io sto qui a casa a buttar giù per iscritto le cazzate che ho in testa perchè da qualche parte le devo mettere altrimenti mi spappolano le cervella, il fegato e la milza, e sorseggio succo di mela ghiacciato, e anche il succo di mela ghiacciato sa di mare.
Posso capire l'odore del mare nell'aria, posso anche accettare che ne siano impregnati vestiti e alberi, e che sia nei miei capelli il mare, e nelle orecchie e anche quando è nelle orecchiè profuma di mare.
Ma perchè l'odore del mare è anche nel succo di mela? Il succo di mela dovrebbe sapere di mela. Se non per altro quantomeno per devozione semantica. E invece no, il mio succo di mela nel bicchiere dal design chiccoso e il profilo quasi voyeur, di vetro soffiato azzurro, ricamato e appannato dal ghiaccio, con le gocce che ne seguono le curve come perle sensuali mentre il succo ambrato riluce invitante tra i cubetti tinnanti, come nel più cazzuto spot sulle bevande estive mai ideato...
Eppure no. La perfezione stilistica non garantisce perfezioni gustative e io bevo mare e non mela.

La mia stanza sa di mare, il frozen yogurt è al gusto di mare, trottano due cavalli nel prato difronte casa, ma la terra secca che alzano è solo mare.
Annuso la mia spalla e anche la mia pelle sa di mare. Se tu ora fossi qui e mi mordessi, morderesti mare.  Sono fatta di mare, come la Sirenetta, scioltasi in spuma sulla battigia, per aver osato amare il suo riccio.
Di mare, eh.



La Pegola

E' che alla fine te ne rendi conto e basta. E' un'illuminazione. Un'altra. Una sequenza di barbagli che ti fanno sdoganare la mandibola in repentini ripetuti reiterati "Ohhhh" di sbalordimento. Una continua, fottuta illuminazione. Ne esci più cieco di prima, ma sei comunque illuminato ed è questo che conta.
L'illuminazione precipua che questo post tratta, arriva dalla fonte più inaspettata, ovvero una Pegola in vena di confidenze. Ora, prima di andare avanti mi tocca spiegare cos' è una "Pegola" a quei pochi fortunati che non ne hanno mai beccata una sul loro cammino benedetto dagli angeli.

Per farla breve, trattasi dell'essere insistente per eccellenza, pedante, promiscuo e logorroico, di sesso femminile per lo più, diffuso in tutte le lande - quelle desertiche e impervie comprese - del mondo. La Pegola potrete facilmente riconoscerla, per la sua forte tendenza a parlare di se stessa, di lei e lei soltanto, più qualche altro fronzolo o conoscente che le orbita intorno, schiacciato sempre e comunque dal suo impenitente giudizio. Ma la sua caratteristica precipua, consiste nel sottoporre se stessa, le sue imprese, le sue avventure e disavventure, i suoi amori, i suoi odi, le sue passioni, il suo lavoro, quello che mangia, beve, sniffa, insomma tutto, a una continua, perenne esagerata ridondante enunciazione. Ordunque la Pegola non sarà mai solo sfigata, ma la regina delle sfigate; non sarà mai bella, ma la campionessa delle belle; non sarà mai amica se non la più edulcorata tra tutte...insomma avete capito.
Le Pegole solitamente chiacchierano un sacco, perchè devono avvertire tutti delle loro grazie/disgrazie decorandole nel modo più ampolloso possibile e giusto qualche settimana fa mi sono sottoposta a questa tortura medioevale di sparacazzate lancinante.Volutamente. Perchè tutto il mondo mi odia ed è obbligatorio che io spurghi i miei peccati sottoponendomi alle peggio torture se voglio avere una possibilità di redenzione.
La mia Pegala ha dunque passato due ore a narrarmi delle sue vicissitudini dalla pre-adolescenza a oggi: i guai combinati con i suoi buffi amichetti bla bla, i viaggi sotto cieli stinti blablablero, la sua carriera difficile e piena di ostacoli che ha brillantemente superato, i suoi balletti e recitelle varie, le sue capacità e incapacità perchè le Pegole non stanno mai a vantarsi e basta. Ciò che loro vogliono è far vedere che esistono e hanno una vita anche se è piena di grane! Basta che tu le consoca tutte le grane e sappia quanto sono innegabilemnte fighe, codeste Pegole, anche nelle grane.



E poi ha cominciato con la solita lagna dell'avere figli che pare colpisca tutte le donne superati i 28 anni. In maniera particolare le Pegole ne fanno un'ossessione, qualcosa che va ottenuto e basta, un trofeo da poter spupazzare in giro per poter così ricamare qualche loro pegolata. Quindi, se conoscete qualcuna che superati i 25/26 anni ha cominciato a ragionare in funzione esclusiva di questo e buttar lì a ogni piè sospinto figli, uomini, ovuli, sperma, fertilità, menopausa  e che magari si è trovata un carciofo dopo aver scrutato col lanternino tra i papabili, se l'è sposato nel giro di qualche anno o sta per farlo con l'obettivo di farsi poi fecondare gli ovuli, allora è molto probabile che voi abbiate trovato la vostra Pegola personale.
Come lo so?
Delle 700 miliardi di parole strombazzate durante l'assedio pegolesco - di cui almeno 600 erano abbellimenti inutili e fuori tema - la metà riguardava la prospettiva materna. E' riuscita a ficcare la questione anche parlando di una partita di golf a cui aveva partecipato con comici esiti! (E sì, le Pegole hanno sempre una vena comica tra le loro virtù). Questo dimostra quanto le Pegole siano intelligenti: non fate l'errore di credere che siano stupide, anzi, se sono stupide non sono Pegole. Affinchè una sia Pegola deve essere intelligente altrimenti come riuscirebbe a sblaterare con la dovuta enunciazione di niente e renderlo un sacco di qualcosa?
La mia Pegola se l'è trovato recentemente il futuro fecondatore di ovuli, sta solo aspettando che i tempi siano maturi per convolare a giuste nozze e quindi, alla narrazione dell'avventuroso semitragico amplesso vicissitudinale giovanile, fa seguito la marea di aneddoti kitsch/snob/radical chic sulla sua attuale vita coniugale. Una goduria per le mie orecchie e i miei neuroni.
C'è di buono che:
  1. buona parte dei miei mali sono stata pagati e con gli interessi;
  2. ho avuto l'illuminazione di cui sopra, la quale illuminazione doveva essere il cuore del post, ma è stata spodestata dalla dissertazione sulle Pegole, perchè chiunque parli con le Pegole, non può far altro che parlare solo delle Pegole per almeno un mese, in quanto tutte le loro parole sagaci gli restano piantate in testa senza possibilità di essere estirpate repentinamente.
Quindi, dell'illuminazione non vi parlo e se al cristo in panne capitato qua resterà un groppo in gola per non poterla conoscere, e la sua vista sarà oscurata per sempre e questo lo porterà a farsi leader di una caccia alle Pegole con spiedi roventi e ricci di mare lanciati da ex campioni di tiro del giavellotto, sappiate che non era questo il mio obiettivo.
Sappiatelo.

mercoledì 1 agosto 2012

Il destino di Neve.

Neve era destinata a una vita diversa.
Ma il  Destino dette la colpa al Fato, il Fato accusò un inciampo del Caso, il Caso denunciò il Vento primordiale, il Vento spernacchiò il Cosmo per averlo intrappolato tra colline infuocate e il Cosmo se ne lavò le mani.  
Aveva altro a cui pensare che a un'inutile Neve.

Neve era destinata a cantare nel vento.
Ma nacque alle pendici di colline infuocate, un vento africano le bruciava i polmoni a ogni respiro. Le sue parole erano ghiaccio ed evaporavano subito nell'oro del cielo.  
Fu così che il Vento primordiale rubò la voce di Neve e nessuno udì mai le sue canzoni.

Neve era destinata a mangiare colori.
Ma il mare era infinito e le ingabbiava la vista in ridondante cobalto. Lei suggeva dal mondo la bellezza cangiante di trame diverse, di bianco di stelle di opali e cannella, per intingersi nelle mille sfumature del mondo.  
Fu così che il Vento primordiale rubò i colori di Neve e nessuno potè mai vedere le sue forme.

Neve era destinata a sbocciare tra i fiori.
Ma la terra bruciava e il grano dorato da solo spargeva il suo fiato. Lei aveva un afrore di prati e pervinche  appeso al suo collo per darlo all'inverno e stingerne il bianco.  
Fu così che il Vento primordiale rubò il profumo di Neve e nessuno la vide mai sbocciare in un fiore.

Neve era destinata a stringere il mondo.
Ma era bianca nel giallo e accecava i passanti. Lei aveva pelle di porcellana e cristallo e il suo ghiaccio bruciava chiunque toccasse.  
Fu così che il Vento primordiale rubò gli abbracci destinati a Neve e nessuno la prese per mano per parlarle di sogni.

Neve era destinata a baci di panna.
Ma niente passava che non le importasse, lei tutto coglieva e tutti sentiva. Ma senza la voce non urlava che al vuoto, e senza una forma correva da sola, e senza gli abbracci perdette i suoi sogni, e senza sbocciare ingoiò il suo amore.  
Fu così che il Vento primordiale soffiò la pietra sui baci di Neve e nessuno trovò le sue labbra di panna.

Neve era destinata a un amore di fiamma.
Ma la sua anima bruciava troppo perchè il ghiaccio non la sopisse. Era destinata a bere dal mondo e ridargli il suo tutto in amore. Ma sotto quel bianco nessuno vide l'amore che in fiamme si protendeva e piano la uccise bruciandole il cuore.  
Fu così che il Vento primordiale rubò l'amore di Neve e nessuno seppe quanto di questo poteva gioirne.